Uova fresche e conservate

La freschezza dell’uovo ha la sua importanza.
Le stagioni migliori per consumarlo sono la primavera e l’estate; durante l’inverno, infatti, la “catena di montaggio” delle galline diminuisce sensibilmente il ritmo di lavorazione e la produzione cala. Pertanto, durante i mesi freddi consumiamo le uova che le grandi industrie hanno acquistato in primavera conservandole in maniera tale da poter rifornire il mercato nei “periodi di magra”.

I sistemi per conservare le uova sono molti: tralasceremo quelli più rudimentali, che speriamo ormai abbandonati, per parlare di quello più razionale e avanzato.
L’uovo è delicato e acquista con molta facilità i cattivi odori che assorbe attraverso la porosità del guscio. Perciò, affinché il suo sapore rimanga inalterato, è necessario che l’uovo venga conservato in un ambiente pulito, alla giusta umidità.
Generalmente le uova vengono conservate a temperatura zero, per rallentare i processi di invecchiamento, in magazzini dove l’aria è purificata dagli ionizzatori, che provvedono anche a mantenere l’umidità non superiore all’80%.
E’ evidente, però, che l’uovo conservato in queste condizioni ambientali, che potremmo definire ottimali, si mantiene bene se è stato immagazzinato fresco. Nel caso in cui, al momento dell’entrata in frigorifero, fosse già poco fresco, il suo stato di salute non può certo migliorare. Prima dell’immagazzinamento si usa quindi svolgere l’operazione “speratura”. In che cosa consiste? In un ambiente scuro, sul tipo di quello impiegato dai fotografi per lo sviluppo e la stampa delle foto, si fa passare l’uovo davanti a una sorgente luminosa, che consente di vedere attraverso la trasparenza del guscio le eventuali alterazioni dell’albume e del tuorlo.
L’uovo fresco ha la bolla d’aria piccolissima, qualche millimetro, e il tuorlo sta al centro dell’albume, che è una massa compatta, densa, di colore molto chiaro. Fino a qualche anno fa, quando tutto il ritmo della vita era meno frenetico, anche salumieri e lattai disponevano di una lampadina vicino al banco e, prima di consegnarci il pacchetto delle uova acquistate, compivano quell’operazione un po’ misteriosa che ha sempre affascinato i ragazzini. Chissà quanti di noi si sono domandati come facessero, in così pochi secondi, a vedere bene dentro l’uovo per valutarne la freschezza.
Infatti occorre controllare l’albume, per sentire se è acquoso, vedere la grandezza della bolla d’aria e la posizione del tuorlo che, spostato verso l’alto, indica una certa “vecchiaia”. E quest’ultimo fatto spiega perché, quando facciamo le uova sode, spesso troviamo il tuorlo tutto da una parte, quasi attaccato al guscio.
Vediamo dunque come si può stabilire la freschezza dell’uovo, il più delle volte relativa, soprattutto per chi abita nelle grandi città e non possiede una fonte diretta per approvvigionarsi. L’uovo fresco è pesante perché è pieno e, se lo scuotiamo lievemente, non sentiamo rumore, mentre se è vecchio fa una specie di sciacquio: è l’albume, divenuto acquoso, che sbatte contro le pareti del guscio.
L’uovo fresco, inoltre, ha un bel guscio bianco o comunque di colore deciso e di grana compatta, senza macchie e impurità. A questo proposito occorrerà dire che non c’è differenza, da nessun punto di vista, tra l’uovo a guscio chiaro e quello a guscio scuro. E’ invece importante il colore del tuorlo: se è troppo pallido indica che la gallina produttrice è stata allevata con un cattivo nutrimento.
Altrettanto importante è l’aspetto del guscio: occorre diffidare dell’uovo sporco, perché proprio a causa della sua porosità il guscio assorbe odori e sapori ed è quindi inevitabile che, se sporco, abbia assorbito qualcosa delle sostanze che lo imbrattano.

Sistemi di cottura degli arrosti

Esistono vari metodi di cottura per avere un buon arrosto.

Cottura al forno
deve sempre avvenire a temperatura inizialmente molto alta, in modo che si formi all’esterno uno strato croccante che imprigiona i succhi interni; il forno ideale è quello provvisto di termostato che permette di mantenere una temperatura costante: in caso contrario occorre controllare che la carne non bruci, rivoltandola ogni tanto e irrorandola spesso con il suo fondo di cottura. Questo tipo di cottura è da preferirsi in molti casi a quella condotta sul fuoco: con quest’ultimo sistema il calore viene solo dal basso, mentre nel forno la carne viene avvolta da un calore uniforme che la cuoce perfettamente in meno tempo senza esigere particolari attenzioni da parte di chi cucina.

Cottura al cartoccio
è un sistema di cottura particolarmente adatto per pollame; l’animale viene condito con pochissimo grasso (in taluni casi non se ne fa assolutamente uso), profumato con qualche erba aromatica e avvolto strettamente in un cartoccio di carta oleata e di carta d’alluminio: se si lasciano fessure si compromette il risultato della preparazione. Così avvolta la carne cuoce nel suo grasso sfruttandolo completamente e risulta molto più digeribile e saporita; se si desidera una carne molto rosolata si apre il cartoccio al termine della cottura, si mette l’animale in una teglia, unendo anche il suo sughetto e si passa in forno molto caldo per qualche minuto. L’ideale sarebbe comunque portare in tavola su un piatto di portata il cartoccio ancora chiuso per non disperdere l’aroma della preparazione.

Cottura alla creta
come la cottura al cartoccio, è particolarmente indicata per pollame, soprattutto polli e faraone, le cui carni divengono morbidissime e molto saporite. Dopo aver avvolto l’animale in un foglio di carta oleata, lo si mette nell’apposito cuocipollo in creta, che si trova in commercio oppure s’impasta della creta con un po’ di acqua e la si modella tutt’intorno al cartoccio racchiudendovelo completamente: questo involucro dovrà poi essere rotto con un martello un attimo prima di servire in tavola (per ovvie ragioni si sconsiglia di fare questa operazione davanti ai commensali). Una variante della cottura alla creta può essere considerata la cottura sotto la sabbia; ambedue i tipi di cottura hanno origini antichissime. I beduini arabi, per esempio, usano ancora oggi questo metodo millenario: coprono di sabbia asciutta un agnello e vi accendono sopra un gran fuoco; quando questo si è esaurito, disseppelliscono l’animale e lo mangiano. Anche in Sardegna i pastori usano ancora un metodo di antica tradizione, straordinariamente efficace; scavano una fossa grande quanto l’animale che dovrà contenere (una lepre, un coniglio, una capra ecc.), la tappezzano completamente di pietre levigate, vi depongono la preda, scuoiata, pulita e insaporita con erbe odorose, infine coprono tutto con altre pietre, vi ammassano sopra grandi fascine di legna secca e fanno il fuoco. Alla fine tirano fuori da questo vero e proprio forno improvvisato un animale cotto stupendamente nel proprio grasso, con carni tenere, asciutte morbide e profumate.

Cottura al sale
è adatta per roast-beef e pollame; consiste nel fare uno strato di sale grosso in una casseruola, appoggiarvi la carne e ricoprirla completamente con altro sale grosso; la cottura dovrà naturalmente essere fatta in forno caldissimo. Al termine della cottura la massa di sale, che si sarà solidificata, dovrà essere rotta con un batticarne, la carne va estratta con decisione e le tracce di sale eliminate con una pennellessa (se si vuole proteggerla completamente dal sale avvolgerla, prima della cottura, in un foglio di carta oleata). Anche con questo sistema la carne cuoce praticamente nel suo grasso.

Quest’ultimo riferimento ci porta a un’altra considerazione fondamentale: non è possibile cucinare arrosto un pezzo di carne magra. Rischieremmo di trovarci nel piatto un qualche cosa di coriaceo, stopposo, decisamente immangiabile. E’ questo un fatto da tenere sempre presente: un bel pezzo di carne per arrosto deve avere le sue brave parti grasse e se non ne ha si provvede a bucherellarla e imbottirla con striscioline di lardo o pancetta.

Due parole infine sull’arrosto morto: si tratta della cottura della carne in casseruola, protratta a calore moderato, a recipiente coperto, con l’aggiunta, di solito, di un poco di brodo o di altro liquido; è adatta per questo tipo di cottura soprattutto la carne di vitello e tutte le carni che risultano un po’ asciutte.

La preparazione dell’arrosto

Se la carne ha le sue giuste dosi di grasso, non occorre niente.
Se abbiamo invece parti completamente magre o animali interi particolarmente coriacei è allora necessario compiere l’operazione di arricchirli di quel grasso che manca. Ciò può avvenire in due modi: il primo è detto “lardellare” o “steccare” e consiste nel perforare la carne con un apposito ago, reperibile in tutti i buoni negozi di casalinghi, e nell’imbottirla di listerelle di lardo o di altri ingredienti grassi; il secondo è detto invece “bardare” e si pratica avvolgendo la carne o l’animale in sottili fette di pancetta o di prosciutto grasso. In questo caso è necessario imbrigliare il cibo da cuocere con del filo neutro da cucina che verrà tolto a fine cottura. La legatura è utile, indipendentemente dalla presenza o meno della bardatura, anche per evitare che durante l’esposizione al calore la vivanda si deformi. Ciò vale soprattutto per i volatili che debbono rimanere con ali e zampe raccolte e aderenti al corpo.

Esistono alcune regole-base che non bisogna mai dimenticare, tanto se si prepara un arrosto allo spiedo che al forno.
1) è fondamentale che la carne riceva una prima, violenta scottata capace di provocare in superficie la crosticina indispensabile per impedire la fuoriuscita dei succhi. Per questo motivo il cibo va avvicinato al fuoco o va messo nel forno quando il calore è già elevato. Grave errore sarebbe, per esempio, infornare a freddo e lasciare che la carne subisca la lenta evoluzione termica del forno. Gran parte dei suoi umori energetici andrebbe irreparabilmente perduta e la carne stessa rimarrebbe considerevolmente più fibrosa e dura.
2) per gli stessi motivi esposti qui sopra è opportuno non bucare assolutamente mai la carne nella prima fase della cottura. Soltanto all’ultimo, ma proprio all’ultimo, è consentito saggiare con la punta della forchetta per controllare la cottura. Ricordiamoci che un arrosto è perfetto quando la forchetta vi penetra agevolmente senza incontrare resistenza.
3) nel caso di animali o pezzi di carne “bardati” con fette di pancetta o di prosciutto (è, questo, un tipo di preparazione adatto più la forno che allo spiedo) bisognerà togliere la bardatura dieci minuti prima della fine, per consentire alla carne di prender colore.
4) se si cuoce allo spiedo, dinanzi a un camino, si deve mettere sotto la carne la cosiddetta “leccarda”, un recipiente apposito che serve a raccogliere il sugo gocciolante e il grasso. Per ammorbidire la carne in cottura sarà opportuno irrorarla di tanto in tanto con il fondo che si raccoglie nella “leccarda” o, se questo non bastasse, con poco olio d’oliva.
5) se si cuoce in forno bisogna ridurre l’intensità del calore dopo la prima scottata. La carne di bue, ad esempio, la si farà rosolare a 250° e si continuerà la cottura a 200°. La temperatura ottimale per il vitello e per l’agnello è di 200°, mentre per il pollame e la selvaggina oscilla tra i 200° e i 220°.

TEMPI DI COTTURA
Vale sempre la regola empirica ma infallibile della prova con la forchetta a fine cottura. Tuttavia diamo qui di seguito dei tempi indicativi calcolati tutti per 500 gr di carne.

Agnello 25 minuti
Anitra 30 minuti
Coniglio 25 minuti
Costata di manzo 15 minuti
Filetto intero 15 minuti
Maiale 30 minuti
Oca 25 minuti
Piccione 20 minuti
Pollo 20 minuti
Selvaggina 30 minuti
Tacchino 30 minuti
Vitello 25 minuti

Se i pezzi di carne a disposizione superano il peso indicato, si deve com’è ovvio aumentare in proporzione i tempi. Così per un pollo da 1 kg e mezzo si stabilirà circa un’ora di cottura.
Al termine della cottura è consigliabile lasciar riposare l’arrosto per un quarto d’ora, perché se lo si affetta caldissimo la carne si sbriciola malamente.

Gli aromi e il vino per gli arrosti

Vi sono alcune erbe entrate ormai così radicalmente nell’uso comune da rendere inconcepibile la preparazione di un piatto senza di loro.

Ci riferiamo a rosmarino, salvia, timo, maggiorana, aglio, cipolla, ginepro, peperoncino, lauro e origano. E’ sempre bene tenerne in casa una scorta: freschi, se è possibile, altrimenti in polvere, contenuti in scatolette o in boccettine di vetro. Le erbe di uso più comune sono rosmarino, salvia e lauro, consigliabili con tutte le carni. Le altre citate, ad esclusione dell’origano, adatto più ai pesci, sono più indicate per la selvaggina.

Non esistono dosi possibili: in questo caso ci si deve fidare della propria sensibilità di gastronomi e, anche, della propria esperienza. E’ consigliabile unire le erbe all’arrosto nella prima fase della cottura, per dar modo alla carne di assorbirne il profumo, ma si deve fare attenzione a non eccedere perché se un giusto grado di aroma migliora il piatto, un eccesso lo può rovinare irreparabilmente.

Oltre alle erbe abbiamo a disposizione le cosiddette droghe o “spezie” che dir si voglia: pepe bianco e nero, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, paprica e zenzero. Se le erbe aromatiche è meglio metterle all’inizio della cottura, il discorso è inverso per le spezie che, in una lunga esposizione al calore, perderebbero totalmente il loro profumo e le loro caratteristiche. Aggiungiamole dunque verso la fine, un quarto d’ora o venti minuti prima di concludere la preparazione, e anche in questo caso impariamo a dosarle con molta attenzione: un piatto cucinato con troppe erbe aromatiche è cattivo ma, tutto sommato, mangiabile. Un piatto con troppe spezie è da buttare via.

Chi non prende in considerazione il vino, difficilmente potrà gustare un buon arrosto perché, sia nella cottura in forno che nella cottura sul fornello, il vino va aggiunto quasi sempre. Ed ecco, a questo proposito, alcune regole di base: il vino deve essere quasi sempre bianco secco; raramente rosso e generalmente solo per la selvaggina da pelo; si versa sulla carne quando questa si è completamente rosolata e il fuoco è vivace, in modo che insaporisca l’arrosto ed evapori senza lasciargli un gusto vinoso troppo acuto (dopo aver irrorato la carne si lascerà scoperchiato il recipiente). Mezzo bicchiere di vino basta a insaporire un kg di arrosto circa. Una cosa è molto importante: non usare mai a questo scopo vini di dubbia provenienza o di qualità molto scadente. Si rovinerebbe tutto. Il vino va senz’altro aggiunto a metà cottura: se ci si dimentica, meglio desistere piuttosto che unirlo alla fine, aggiungerebbe inutilmente umidità rammollendo l’appetitosissima crosticina.

Infine, per restare in tema, diciamo due parole sui vini da servire con l’arrosto. Spesso la padrona di casa, di fronte a questi problemi, rimane perplessa e non sa che fare. Ecco dunque qualche regola da tener sempre presente.
La cottura arrosto, lo abbiamo visto, è cottura completa, che ha il potere di non disperdere nessuna delle caratteristiche nutrizionali della carne; i sapori, inoltre, sono abbastanza decisi, vuoi per le particolarità stesse della carne, vuoi per gli aromi impiegati nella preparazione. E’ quindi indispensabile un vino rosso, piuttosto robusto, di spiccato sapore.

Le carni da arrosto

Un buon arrosto deve cuocere a lungo. Ma le esigenze della massaia moderna sono tali da rendere impensabile, salvo rare occasioni, tale possibilità. E’ perciò necessario orientare la scelta, quando si va a fare acquisti dal macellaio, verso carni abbastanza tenere da garantire una perfetta cottura nel minor tempo possibile. E’ tanto più indispensabile, quindi, avere carni provviste di una certa quantità di grasso. Se si domanda al macellaio un pezzo di “arrosto” ci vedremo consegnare, quasi sempre, della punta di petto disossata e legata, già pronta per essere messa a cottura. Ma esistono vari altri tipi di carne. Vediamo di classificarli:

- vitello: spalla disossata, coscia, carrè.
- manzo: filetto, controfiletto, lombata, noce e sottonoce. Sono i tagli di maggior pregio, ma per taluni, come per esempio per la noce, è consigliabile, prima di avviare la cottura, una attenta lardellatura.
- maiale: filetto, spalla, carrè, prosciutto. Se è un maialino da latte, di piccole dimensioni, lo si può arrostire intero e sarà una autentica leccornia.
- agnello: carrè, cosciotti, sella, barone. Anche in questo caso, se si tratta di animali appena nati, li si può cucinare interi.
- coniglio: la carne del coniglio, leggera e tenera di per se stessa, è fra le migliori per una cottura arrosto. L’animale può essere cucinato intero o a pezzi e si presta, in modo particolare, per il forno.
- capponi e polli: vanno preparati interi o a pezzi.
- selvaggina: il termine è vasto, e comprende cinghiali, caprioli, camosci, fagiani, lepri, anitre, pernici, beccacce ecc. Le preparazioni sono molteplici: spiedo, forno, griglia, a seconda della dimensione della preda.

L’antipasto vegetale

Gli antipasti vegetali sono assai indicati per il pranzo quando possono sostituire benissimo la minestra, anticipando ottimamente i piatti di pesce o di carne. Vediamo ora quali sono i vegetali più indicati.

Carciofi, peperoni, zucchine, melanzane e pomodori sono particolarmente adatti ad essere farciti e cotti in forno (i pomodori sono ottimi anche crudi e riempiti con maionese, tonno, ecc.); queste verdure sono molto gradite anche nella stagione calda, durante la quale, se ben combinate con altre preparazioni, possono sostituire egregiamente il primo piatto. Anche patate e cipolle possono costituire la base di antipasti poco usuali ma ugualmente molto saporiti: patate ripiene, tortini di patate, cipolle in agrodolce ecc.

Un discorso a parte va fatto per le cosiddette crudità, le verdure che si consumano in pinzimonio: quelle classiche sono il finocchio, il sedano, lo scalogno, le cipolline fresche, le carote. Queste verdure, che vanno tagliate grosse, debbono essere lavate con molta cura (è consigliabile lasciarlo sotto l’acqua corrente per un po’ di tempo) e asciugate molto bene. Un suggerimento: dopo averle lavate e sgocciolate, mettetele in frigorifero, dove l’acqua rimasta evapora lasciando le verdure belle croccanti, asciuttissime ma non secche.

Le verdure che abbiamo indicato, delle quali la carota è decisamente la più colorata, si portano in tavola su grandi piatti nei quali l’elemento cromatico gioca una parte di rilievo. Con piatti di questo genere è molto simpatico usare contenitori insoliti, rustici. Inoltre, non vanno dimenticate le tazzine da sistemare dinanzi ad ogni commensale perché si prepari il pinzimonio nelle dosi volute (per condire occorre preparare olio, sale, pepe e anche la senape piccante, che molti gradiscono).

Altre verdure per un antipasto vegetale possono essere i funghi freschi (gli ovoli tagliati a fette sottili, crudi, conditi con olio, pepe, una goccia di limone e formaggio grana a scagliette), i fagiolini verdi, lessati e conditi con maionese, tagliati a pezzettini.

Un particolare da ricordare, tanto per avere una certa uniformità del materiale che va poi “decorato”, è questo: tagliarlo a pezzetti più o meno della stessa dimensione. Quanto alle decorazioni, i piatti possono essere abbelliti con le classiche foglioline di prezzemolo o di insalata, con le rotelle di limone e anche, è una presentazione molto simpatica, con fiori.
Se si ricorre ai fiori, si sceglieranno ovviamente quelli dai colori più vivaci e dal profumo poco intenso, che non sciupino il gusto delle verdure proposte alla gioia del palato. Secondo le regole del galateo l’antipasto, la sera, non si porta in tavola se non nelle grandi occasioni, e in tal caso esso deve essere composto di elementi che sono di rigore. Primo signore incontrastato di questi antipasti impegnativi è il caviale, al quale fanno degnissima cornice il salmone affumicato, le ostriche e i cocktails di crostacei.

W

Worcestershire sauce
salsa inglese liquida molto concentrata a base di aceto d’orzo maltato, salsa di soia, essenza d’acciughe, essenza di carne, melassa, aglio, scalogno, sale, pepe, zucchero ecc.

S

Saltare
procedimento che si usa per carni, frittate o verdure che vengono cotte in padella a fuoco vivo. La definizione nasce, probabilmente, dal movimento che si imprime alla padella per rivoltare il cibo senza l’uso di forchetta o altro utensile.

Sbollentare
immergere per qualche minuto in acqua bollente un legume per renderlo più morbido prima della cottura, oppure frutta secca, come mandorle o noci, per facilitarne la pelatura. Si sbollentano anche i pomodori per pelarli più rapidamente, oppure il lardo per togliere l’eccesso di sale e gli zampetti o le cotenne per sgrassarli.

Sobbollire
cuocere a calore tenue in modo che il bollore sia insensibile. Si usa questo sistema di cottura per ragù, brasati e altre preparazioni che richiedono un tempo lunghissimo.

Spezie
sostanze aromatiche, in genere di provenienza esotica, che si usano per insaporire i cibi e vanno dosate sapientemente, specie se sono piccanti, perché potrebbero alterare il sapore del cibo. Tra le più comuni: pepe, paprica, cannella, chiodi di garofano, curry, noce moscata, semi di finocchio.

Stemperare
mescolare una sostanza asciutta o compatta, come la farina o il lievito, con acqua, latte o uova. Mescolare lentamente per evitare la formazione di grumi.

Stufare
far cuocere in un recipiente coperto carne o altre vivande a fuoco molto moderato, in un sugo allungato con brodo, acqua o vino quando l’umidità emessa dal cibo stesso non è sufficiente per la cottura.

Schiumare
eliminare, usando l’apposita schiumarola, la schiuma che si forma sulla superficie di una salsa o di un brodo.

Sgrassare
eliminare lo strato di grasso che si forma sulla superficie di un liquido o di una salsa.

Soffritto
è così chiamato un battuto di cipolla e di altre verdure fatte cuocere dolcemente in un grasso fino a ridurle al massimo senza lasciarle colorire.

Steccare
introdurre nella carne, attraverso piccoli taglietti, praticati con l’apposito utensile, filettini di aglio o di altre verdure, ciuffetti di rosmarino, filetti di lardo, di prosciutto ecc.

Salvia
erba aromatica; è tonica e ha un aroma gradevolmente amaro; viene usata in molte ricette ma è particolarmente adatta per la cacciagione, per i pesci ai ferri e al forno e per gli spiedini di carne.

R

Ridurre
concentrare, mediante evaporazione, una salsa o un intingolo che acquistano così maggior gusto.

Rosolare
far prendere un colore dorato a una vivanda, nel burro, nell’olio o in altro condimento, prima di iniziarne la cottura vera e propria.

Rinvenire
far ammorbidire in acqua o in altro liquido ingredienti secchi, come funghi, prugne, uvetta. Si fa ammorbidire in acqua anche la colla di pesce prima di farla sciogliere. Far colorire in grassi diversi alimenti di vario genere.

Regaglie
si chiamano così le interiora del pollame.

Rognonata
lombata di vitello con attaccato il rognone.

Rosa
parte di carne ricavata dalla parte superiore della coscia del manzo.

Rosmarino
erba aromatica tonica e stimolante dal caratteristico pungente profumo; è adattissimo a ravvivare gli arrosti più delicati (vitello, coniglio, pollo, agnello). In alcune regioni, come in Toscana, si usa per condire focacce e panini.

Rognone
rene degli animali macellati, molto usato in cucina, tagliato a fettine e trifolato oppure intero e cotto alla brace.

Rémoulade
salsa ottenuta aggiungendo la senape alla maionese. Indicata per carni lesse e pesce.

P

Pirofila
recipiente fabbricato in una speciale sostanza porcellanata o vetrificata resistente al calore del forno e anche a quello della fiamma diretta. Molto utile per le preparazioni che vanno servite nel recipiente di cottura.

Passino
attrezzo costituito da una reticella, attraverso la quale si passa un liquido per filtrarlo, e da un manico isolante.

Puntine
estremità delle costole di maiale solitamente impiegate nella preparazione della verzata o del bottaggio, piatto tipico della cucina milanese.

Prezzemolo
erba aromatica; è stimolante e diuretico e può accompagnare quasi tutti i cibi: minestre, pastasciutte, risotti, carni, pesci, uova, verdure e salse. Affinché non perda il suo particolare aroma, si consiglia di unirlo alle vivande a cottura quasi ultimata.

Puré
termine derivante dal francese purée, dal verbo purer, passare, indica appunto vari tipi di verdure passate: classico è il puré di patate. Il termine comunque si può anche usare per qualunque preparazione venga passata al setaccio o passaverdure.

Pistacchio
frutto dell’albero omonimo simile ad un’oliva il cui seme di colore verde è tenero e commestibile. Può essere consumato fresco o tostato e salato.

Paella
vocabolo spagnolo derivante dall'antico francese "paelle" cioè padella. E' una tipica preparazione di Valenza a base di riso con l'aggiunta di verdure, frutti di mare, pollo, maiale e pezzi di anguilla.


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