Come preparare delle ottime conserve

Marmellate e confetture
La cottura delle marmellate e delle confetture può presentare inizialmente alle persone meno esperte qualche difficoltà poiché è impossibile indicare con precisione il tempo di cottura del composto. Questo varia secondo la consistenza della frutta, che può essere più o meno acquosa, e la sua quantità. Facendo evaporare l’acqua di vegetazione il composto va schiumato spesso e, quando è divenuto abbastanza consistente, si abbassa la fiamma e si continua la cottura mescolando.

Per riconoscere il giusto punto di cottura vi sono diversi sistemi; indichiamo il più pratico: si immerge il cucchiaio di legno nel composto, si solleva e si lascia cadere lentamente una piccola quantità di marmellata. Se si forma un filo continuo e liquido simile al miele è necessario protrarre la cottura ancora per qualche minuto, se invece si forma un filo discontinuo che tende a staccarsi dal cucchiaio, la marmellata è pronta. Oppure è sufficiente versare un cucchiaino di marmellata in una tazza d’acqua: se è pronta va a fondo e non si scioglie nel liquido.

Nelle marmellate preparate con frutta poco consistente e piuttosto acquosa è utile l’aggiunta di un certo quantitativo di mele (una mela per ogni kg circa di frutta) che contengono sotto la buccia, in rilevante quantità, la pectina, una sostanza addensante.

Se si desidera una lunga conservazione si può aggiungere a queste conserve dell’acido salicilico, un antifermentativo che impedisce la formazione delle muffe (è sempre però preferibile affidarsi alla semplice sterilizzazione che non altera i sapori). Chi decidesse di usare questa sostanza la può acquistare in farmacia dove si vende sotto forma di pastiglie o in polvere: la dose da usare deve comunque essere ridottissima, un grammo circa per ogni kg del prodotto da conservare.

Gelatine
Per preparare le gelatine si utilizza, invece della polpa, il succo della frutta: i frutti scelti devono quindi essere molto succosi ma non troppo maturi per evitare che la pectina in essi contenuta, che conferisce alla gelatina una certa consistenza, si sia già trasformata.
Per conferire alle gelatine la caratteristica limpidezza è necessario durante la cottura, che deve essere protratta a fuoco molto lento, schiumarle molto spesso per eliminare le impurità e filtrarle prima di invasarle.

Frutta sciroppata
La preparazione della frutta sciroppata, ossia conservata in uno sciroppo di zucchero, è abbastanza semplice e difficilmente dà degli inconvenienti. Per questo tipo di conserva occorre scegliere frutti abbastanza maturi ma non troppo, sani e possibilmente delle stesse dimensioni.
In alcuni casi la frutta, prima di essere messa nei vasi, va scottata per brevissimo tempo in acqua bollente; quasi sempre, però, si sistema, cruda, ben lavata e asciugata, nei vasi, quindi si ricopre con uno sciroppo di zucchero della densità indicata nella ricetta.

Frutta sotto alcool o liquore
E’ un altro procedimento molto semplice in cui può cimentarsi anche chi è alle prime armi. La frutta, ben pulita e disposta a strati nei vasi, viene ricoperta con alcool o liquore: per il fenomeno dell’osmosi il liquido aggiunto viene a poco a poco assorbito dalla frutta, che a sua volta cede la sua acqua di vegetazione. E’ consigliabile quindi usare alcool o liquori di buona gradazione poiché vengono diluiti dall’acqua della frutta.
Spesso si aggiunge a queste conserve anche uno sciroppo di zucchero piuttosto denso, che le rende più gustose e ne aumenta la conservabilità.

Verdure al naturale
Le verdure conservate al naturale sono molto utili perché permettono di avere a disposizione, fuori stagione, degli ortaggi introvabili sul mercato o molto costosi. Naturalmente, le operazioni di “mondatura” e pulizia dovranno essere particolarmente accurate, soprattutto se la verdura non va sbollentata prima di essere riposta nei vasi; inoltre, durante la pulitura, si dovrà avere l’accortezza di immergere quegli ortaggi, che tendono ad annerire al contatto con l’aria, in acqua acidulata con succo di limone. Se le verdure devono essere previamente sbollentate, per mantenere il loro colore naturale vanno immerse in acqua salata in ebollizione e fatte bollire il più rapidamente possibile a pentola scoperta, seguendo scrupolosamente il tempo indicato nelle ricette per evitare che divengano mollicce invece che rimanere bene “al dente”.

Verdure sott’olio e sott’aceto
Le conserve sott’olio e sott’aceto sono generalmente molto gradite perché dal sapore piuttosto piccante e aromatico (vi si aggiungono infatti spesso, oltre agli ingredienti base, anche aromi e spezie varie come lauro, chiodi di garofano, cannella, pepe ecc.); si possono servire sia come antipasto, insieme a salumi assortiti, sia come contorno a piatti di bolliti e di arrosti freddi.
Importante, per la buona riuscita di questa conserve, è usare prodotti di prima qualità: ottimo olio d’oliva (escludendo senz’altro l’olio di semi, assai poco saporito) e aceto bianco di vino, evitando quello rosso che conferisce al prodotto un colore poco invitante. Chi non ama i sapori troppo forti (e d’altronde una concentrazione eccessiva di aceto rischia di annullare il sapore della vivanda) potrà sempre diluire l’aceto con una parte d’acqua o di vino bianco secco.

Il caviale

Il caviale è da secoli il simbolo della cucina più raffinata; il suo costo è sempre stato alto, tanto che viene considerato un piatto “da signori”. E infatti la nobiltà dei secoli scorsi ne era ghiottissima.

Le prime citazioni che troviamo nei classici italiani di cucina risalgono al XVI secolo, quando nelle annotazioni alle “Regole della sanità et natura dei cibi” si dice che il caviale deve essere servito con salse di “vino, zuccaro, uva passula, pepe, garofano et zenzero”. Ma perché il caviale è tanto costoso? Evidentemente perché anch’esso è inquadrato nelle leggi di mercato, secondo le quali sono più costose le merci più richieste, soprattutto se sono difficili da reperire.

Il caviale è composto da uova di storione, un pesce che si cattura soprattutto nel Mar Nero e nel Mar Caspio. I migliori tipi di caviale sono il Beluga Malossol (malossol vuol dire poco salato) e il Panaja Malossol, russi, come si può capire dal nome, e lo Shah, persiano. C’è poi l’Ikre nigre, romeno. Il colore del caviale è tutto nelle sfumature  tra il grigio scuro e il bianco bluastro. Esiste infine anche il caviale rosso (che alcuni ritengono superiore in bontà a quello nero) che è ottenuto, anziché dallo storione, dalle uova di salmone. Il caviale, digeribilissimo e delicato, ha un sapore veramente squisito, soprattutto se gustato fresco (non freddo) su una fetta di pane di segale imburrata e spruzzata con alcune gocce di limone.

Il caviale migliore è quello ottenuto dalle uova dello storione che nuota nel Volga, dove mette su casa.
Lo storione è un pesce lungo circa tre metri e ha una forma che ricorda quella del pescecane; questo tipo è diffuso soprattutto nel Mediterraneo e nell’Oceano Atlantico. Ma quello che interessa a noi è lo storione del Naccari, lungo un metro e mezzo al massimo, dal quale si ottengono ottime carni (bianche e compatte) e le uova che, salate e marinate, costituiscono il caviale.
Il procedimento, abbastanza rudimentale, col quale si sottraggono le uova a mamma storione è questo: si attende la stagione in cui i pesci risalgono le acque dei fiumi per deporre le uova e, prima che lo facciano, li si cattura. A questo punto i pescatori strappano l’ovaio del pesce ( che contiene tre milioni di uova), lo battono e lo passano al setaccio perché si stacchi il tessuto ovarico che avvolge le uova e queste vengono poi messe sotto sale (in ragione del 5-12%) dentro a fusti d’acqua. Le uova più pregiate sono quelle che non superano i 2-4 mm di diametro.

Ovviamente, essendo il caviale un piatto tanto pregiato, occorre una presentazione molto accurata. Generalmente esso viene sistemato in una bacinella di cristallo, posta a sua volta in una bacinella più grande, piena di ghiaccio tritato, che mantiene questa leccornia fresca al punto giusto. Col caviale, come dicevamo, si servono sottili fette di pane di segale. Si può variare la presentazione classica accompagnando questo piatto con cipolline tritate finemente e uova sode, anch’esse tritate, e panna acida. Si deve però dire che i gourmet più raffinati consumano il caviale allo stato naturale, a cucchiaini.

Disposizione dei cibi nel frigorifero

Latte fresco
se in bottiglia, con il coperchio, se nel cartone, premendo l’apertura.
Si conserva nel ripiano più alto, sotto il congelatore per 2 giorni.

Burro
ben avvolto nell’involucro di carta o chiuso in un contenitore.
Si conserva nell’apposito sportello per 15-20 giorni.

Panna
ben chiusa; dopo averla aperta consumarla in giornata.
Si conserva nel ripiano più alto, sotto il congelatore per 3-4 giorni, chiusa.

Formaggi freschi
avvolti in carta d’alluminio e disposti in un contenitore a chiusura ermetica.
Si conservano nel ripiano medio per 2 giorni.

Formaggi fermentati
avvolti in carta d’alluminio e disposti in un contenitore a chiusura ermetica.
Si conservano nel ripiano inferiore per una settimana circa.

Parmigiano
avvolto in un canovaccio bagnato e ben strizzato per non farlo seccare.
Si conserva nel ripiano inferiore per 3-4 settimane.

Salumi (già aperti)
avvolti in carta d’alluminio e disposti in un contenitore a chiusura ermetica.
Si conservano nel ripiano medio per 4-5 giorni.

Uova
si conservano nell’apposito sportello, con la parte tondeggiante rivolta verso l’alto per 2 settimane.

Carni crude
senza carta, in un piatto o in una bacinella. L’ideale è avvolgerla in un telo bianco di lino.
Si conservano nel ripiano superiore da 4 a 7 giorni secondo il tipo di carne (il vitello e il maiale resistono meno del manzo).

Pesci
è consigliabile che siano già ben puliti.
Si conservano nel ripiano superiore per 1 o 2 giorni.

Verdure
per occupare meno spazio e per non sporcare vanno prima ben mondate.
Si conservano nell’apposita cassettina da 4 a 5 giorni.

Frutta
Si conservano nell’apposita cassettina per 6-7 giorni.

Carni e altri alimenti cotti
nei recipienti di cottura, se di porcellana, vetro o terracotta, oppure in contenitori di plastica.
Si conservano nel ripiano medio per 2-3 giorni.

Gelati, surgelati, congelati
nei loro involucri.
Si conservano nel freezer da 1 a 3 e più mesi (seguendo le indicazioni scritte sulle confezioni).

Farciture e decorazioni per dolci

Per arricchire una torta o un certo tipo di pasticcini, per personalizzarli variandone il sapore, per ammorbidire una pasta di base troppo asciutta, si ricorre alle farciture e alle decorazioni. Le prime si ottengono spalmando sui dolci tagliati a metà delle creme, tra cui ricorderemo: la crema inglese, lo zabaione, la crema chantilly, la crema al burro, la crema al caffè, la crema al liquore, la crema al cioccolato, il caramello, le marmellate, le gelatine e le salse di frutta.

Prima di farcire torte e pasticcini bisogna attendere che siano freddi, quindi si dividono a metà orizzontalmente con un coltello affilato dalla lama larga e lunga, ottenendo così due dischi che si appoggiano su un’asse con la parte interna rivolta verso l’alto. Si diluiscono quindi in una tazza due parti di liquore dolce con una parte di acqua fredda, si mescola e si bagnano leggermente con tale miscela i due dischi di pasta, servendosi di una spatola a lama corta e larga. Si sovrappone infine a tutto il disco superiore e si spalma il dolce, sia lateralmente che nella parte superiore, con la stessa crema usata per la farcitura. Si ottiene così la più semplice delle decorazioni; allo stesso scopo si potranno anche usare panna montata, zucchero filato, frutta candita, pastiglie di zucchero o di cioccolato, croccantini, meringa, pasta di mandorle variamente colorata con colori innocui per pasticceria, piccoli bignè.

Mentre le decorazioni ottenute con le creme si limitano a un rivestimento uniforme dei dolci, quelle basate su frutta candita, croccantini ecc. consistono nella disposizione, di solito geometrica, del materiale prescelto, che può essere di una o più qualità.

Un ottimo effetto si ottiene con la granellatura, che si esegue su tutto il dolce o sui bordi soltanto; la granellatura si prepara con mandorle o pistacchi: si immerge la frutta secca già sgusciata (circa 80 grammi per granellare i bordi di una torta di medio formato) in acqua bollente e la si lascia nel bagno per un paio di minuti (per conservare ai pistacchi il loro colore verde sarà bene aggiungere all’acqua un pizzico di sale), si leva quindi la pellicola di rivestimento della frutta secca, che dopo l’immersione in acqua verrà via con estrema facilità, si asciugano mandorle e pistacchi, si ritagliano in filettini o meglio si tritano finemente e si passano in forno debolissimo affinché possano dorarsi leggermente. A questo punto si fa aderire la granella ai bordi della torta spalmati con marmellata o gelatina di frutta.

Mostarda e senape

Che cos’è la mostarda? Se sfogliamo le pagine del dizionario abbiamo una sorpresa, in quanto essa viene definita “condimento a base di farina di senape bianca, impastata con aceto e aromatizzata con pepe, cannella, garofano, cipolla ecc.”. Insomma, non è quello che intendiamo noi. In effetti mostarda deriva da “moutarde”, la parola francese che indica quella che noi chiamiamo comunemente senape. Allora parliamo di “mostarda all’italiana”, con la quale intendiamo la frutta candita e trattata in un certo modo, a seconda della zona d’origine.

La mostarda di Cremona, che è la più famosa, è frutta mezzo candita e immersa in un liquido sciroppato, senapato e aromatizzato con varie spezie. La mostarda di Cremona è piuttosto dolce, ma in passato veniva preparata più piccante.

C’è poi la mostarda di Vicenza, o veneta, che è fatta con frutta candita o sciroppata, immersa in una specie di confettura di mele cotogne, senapata e molto addolcita.

La mostarda siciliana, invece, è fatta a base di mosto cotto, dolce e insaporito e aromatizzato con varie spezie.

Già che ci siamo, parliamo anche della mostardiera, un grazioso oggetto da tavola che nei secoli passati ha assunto alti vertici artistici nel settore della porcellana: è il vasetto da mostarda con coperchio fornito di un foro da cui passa l’apposito mestolino.

Parliamo ora della senape vera e propria, il cui nome deriva dal latino “sinapis”, sostantivo col quale vengono chiamate due piante della famiglia delle Crocifere. Si tratta di una erba che cresce spontaneamente in Europa, Africa e Asia occidentale.

Ci sono due tipi di senape: la Brassica nigra (senape nera) e la Sinapis alba (senape bianca). La prima viene usata in medicina, che ne sfrutta le proprietà stimolanti, revulsive e rubefacenti. La senape bianca, invece, viene usata per fare salse piccanti ed è unita a fecola, farina, zucchero, droghe, aceto.

I semi di senape bianca hanno un colore giallognolo, forma di pallina ovoidale e buccia trasparente e fragile. Essi contengono un olio grasso, sinalbina, sostanze albuminoidi e mirosina: in presenza di acqua la sinalbina si trasforma in glucosio e in solfocianato di acrinile. E’ proprio quest’ultimo che ha il sapore piccante che rende piacevole il gusto della senape.

La senape si accompagna molto bene ai bolliti, agli arrosti, ai wurstel, alla carne alla griglia e alle carni fredde. Due sono i tipi di senape più diffusi: quella inglese, una polvere che si diluisce in acqua al momento dell’uso ed è piccantissima; quella francese, bruno chiaro, in genere meno piccante. Molto usata in gastronomia è la senape al cren, molto aromatizzata e utilizzata esclusivamente per saporire i bolliti.

E

Estratto
sostanza concentrata in una minima quantità di prodotto; può essere quindi aggiunta ad una preparazione per dare sapore e sostanza. Gli estratti di uso più comune sono quelli di carne e di pomodoro.

Evaporare
bollire a recipiente scoperchiato per permettere al liquido di ridursi dando così maggior consistenza alla preparazione.

Erba cipollina
erba aromatica; è chiamata così perché ha odore e sapore simili a quelli della cipolla, anche se più delicati; è stimolante dell’appetito ed è molto usata per aromatizzare insalate e minestre.

Erbe fini
un trito composto di prezzemolo, cerfoglio, dragoncello e erba cipollina.

Essenza di funghi
funghi freschi o funghi secchi ammollati, tritati, fatti bollire in pochissima acqua per mezz’ora in una pentola normale o per un quarto d’ora nella pentola a pressione. Filtrare il liquido molto ristretto ottenuto attraverso una garza e conservarlo in freezer. Serve per aromatizzare le salse.

Etamine
fa parte della famiglia dei setacci ed è un quadrato di tela filtro in puro cotone, che serve per strizzare ingredienti quando occorre eliminare grassi o liquidi.

N

Noce
parte di carne ricavata dalle grandi masse muscolari della coscia posteriore bovina; è adatta per bistecche e arrosti.

Nepitella
erba aromatica; è stimolante dello stomaco ed eccitante del sistema nervoso, per cui va usata con molta parsimonia; ha aroma simile a quello della menta e quindi gli stessi usi.

O

Origano
erba aromatica; antispasmodico, ha un aroma molto penetrante e sapore amarognolo; si usa specialmente in meridione, in moltissime ricette come pizze, spaghetti, carni, per condire pomodori e altre verdure fresche e per molte marinate.

T

Timo
erba aromatica; stimolante, eccitante e tonico; ha profumo simile a quello della maggiorana e si usa per marinate, court-bouillon, salse stufati e arrosti di carne, zuppe di pesce e uova.

V

Vellutata
salsa la cui preparazione è quasi uguale a quella della besciamella. L’unica differenza è costituita dall’assenza del latte che viene sostituito dal brodo, quindi è una salsa molto delicata ma un po’ più saporita della besciamella.

Il carciofo

Ortaggio tipicamente mediterraneo, il carciofo è un vanto proprio del nostro Paese che ne è uno dei maggiori coltivatori in campo mondiale e che ad esso ha riservato un posto d’onore in gastronomia, cucinandolo in cento diverse maniere: ripieno, fritto, in insalata, in umido, al forno, e poi ancora in risotti e pastasciutte, oppure in abbinamento alle uova, ai formaggi, al pesce.

Quanto alle sue proprietà sono moltissime: è tonico, diuretico, stomachico, colagogo, febbrifugo, antireumatico, disintossicante, ma soprattutto fa bene a tutti coloro che hanno problemi di origine epatica. Qui però occorre fare una precisazione: la famosa cinarina, questa preziosa sostanza tanto benefica per il fegato non è contenuta, come comunemente si crede, nel cuore commestibile del carciofo, bensì proprio nelle parti amare che non si mangiano, cioè nelle foglie e in misura minore negli steli e nelle radici. Certo non possiamo per questo metterci a mangiare  le dure foglie del carciofo e neppure è pensabile di berne l’amarissimo decotto: lasciamo dunque all’industria farmaceutica il compito di estrarne principi attivi e di sfruttarli poi a scopo terapeutico. Noi limitiamoci ad inserire abbondantemente il carciofo nella nostra alimentazione perché, se anche le parti che noi mangiamo non contengono la preziosa cinarina, sono però ricche di tante altre sostanze benefiche che aiuteranno il nostro organismo a mantenersi in buona salute e tra l’altro non faremo che gratificare in tal modo anche il palato col sapore delizioso e raffinatissimo dell’amico carciofo.
Per sfruttarne a pieno le preziose proprietà, la cosa migliore è mangiarli crudi, principio valido d’altronde per tutte le verdure. Solo però se giovani e tenerissimi, i carciofi sono adatti ad essere consumati crudi: tagliati sottilissimi e conditi con sale ed ottimo olio d’oliva, costituiranno una deliziosa insalata. In tutti gli altri casi non rimane che cuocerli e qui, oltre alle tipiche e raffinate preparazioni che la gastronomia ci propone, il metodo migliore per conservare i loro benefici contenuti è certo quello della cottura a vapore.

Proprietà
In cucina: bisogna prestare particolare attenzione nell’acquisto di questo ortaggio: il carciofo fresco e tenero non solo è più buono e saporito, ma anche più facilmente digeribile. Infatti, un carciofo vecchio e con le foglie coriacee ha in sé anche alcune sostanze indigeste. Ecco dunque alcuni suggerimenti per la scelta di un buon carciofo. Attenzione a quelli che hanno le foglie aperte o sono di colore scuro: i carciofi più teneri hanno le foglie ben chiuse e sono di colore verde tenue uniforme, senza le tipiche macchie nerastre alle estremità che ne denotano l’età. Un piccolo trucco: provate a togliergli una foglia esterna, se si staccherà facilmente lasciando una “cicatrice” chiarissima, quasi bianca, potrete stare tranquilli: il vostro carciofo è tenerissimo. Ricordate poi che i carciofi migliori sono quelli più pesanti e ben sodi al tatto.
Infine è bene evitare di conservare troppo a lungo i carciofi una volta cotti: il colore verdastro che il carciofo cotto prende dopo qualche tempo, indica che in esso si sono sviluppate pericolose tossine.

Per la salute: delle benefiche proprietà del carciofo come alimento ne abbiamo già parlato. Diamo la ricetta del “vino al carciofo”, ottimo digestivo e diuretico: si lasciano macerare per 5 giorni 20 grammi di foglie fresche di carciofo in 1 litro di vino bianco secco, poi si filtra e si versa il ricavato in una bottiglia con chiusura ermetica. Si potrà rendere più amabile dolcificando con del miele.

Insalata: requisiti e preparazione

L’insalata occupa un posto di tutto rispetto ad ogni portata: come antipasto stimola l’appetito, come primo piatto (mista ad altri gustosi componenti) fa bella figura, come accompagnamento al secondo piatto costituisce un piacevole intervallo per il nostro stomaco, che deve mettersi al lavoro, e contemporaneamente permette di fare onore al formaggio e alla frutta.

Vediamo un po’ come si prepara l’insalata.
Innanzitutto occorre acquistare cespi freschissimi ed evitare di conservarli troppo a lungo, anche se in luoghi freddi, poiché il loro valore nutritivo diminuisce col passare del tempo. Come si lava? Si super-lava. Non c’è nulla di più antipatico che masticare granelli di oscura origine, rimasti tenacemente attaccati proprio al boccone che stiamo gustando, a causa della trascuratezza della lavatura, operazione tutto sommato rapidissima, soprattutto se si usa l’apposito cestello-centrifuga che asciuga l’insalata.

L’insalata andrebbe mondata e preparata poco prima di essere portata a tavola. Ma se per ragioni di tempo questa operazione deve essere fatta in anticipo, ecco un sistema per non farla avvizzire: lavare accuratamente foglia per foglia, e rilavarle insieme due volte, con l’apposito cestino. Strizzarle col classico strofinaccio e poi, col medesimo, fare un fagotto a quattro nodi e infilarlo in frigorifero: le foglie si manterranno perfettamente lisce e conserveranno il “croc-croc” che distingue l’insalata fresca da quella che non lo è.
Se alla classica insalata verde si aggiungono altre verdure come zucchine, carote, cipolle ecc., anch’esse da preparare in anticipo, il segreto per avere tutto croccante è presto svelato: lavare e asciugare le verdure (tagliarle se si vuole) e metterle in frigorifero, almeno due ore prima di servirsene, dentro ad una bacinella con acqua e cubetti di ghiaccio. Al momento di preparare il piatto queste verdure avranno l’aspetto e il sapore della verdura appena colta dall’orto.

Sempre per quanto riguarda le insalate in genere, c’è un altro piccolo accorgimento, quello di condire sempre le nostre insalate nella stessa insalatiera, che col passare del tempo si impregna dell’odore del condimento.

Una volta che la nostra insalata è stata mondata, lavata, asciugata e posta nell’apposita insalatiera, non resta che condirla, tenendo presente che qualsiasi condimento o salsa deve valorizzare l’insalata e non stravolgere il suo sapore. Questo, naturalmente, se si vuole mangiare solo un piatto di verdura fresca. Se invece si vuole fare qualche cosa di diverso, colorato, allegro, allora non c’è che l’imbarazzo della scelta: l’unico elemento invariabile, di ogni e qualsivoglia insalata mista, è e rimane il sale.
Infatti, possiamo variare la qualità dell’olio, più o meno saporito, più o meno grasso, del Garda o delle Puglie, ligure o toscano. Possiamo ancora scegliere tra il limone (particolarmente indicato per la lattuga) e l’aceto. E, per l’aceto, possiamo scegliere tra quello rosso, quello bianco, quello di champagne, quello balsamico, quello aromatico, e chi più ne ha più ne metta.
Oppure possiamo addirittura sopprimere olio e aceto e mettere sale, creme, yoghurt ecc.

I piatti freddi

Nell’epoca in cui viviamo i piatti freddi possono acquistare un valore diverso e una particolare importanza, perché hanno il vantaggio di poter essere preparati con un notevole anticipo: anticipo che va ovviamente a vantaggio della padrona di casa. Infatti molte volte la preoccupazione per la riuscita di una portata crea momenti di tensione che si ripercuotono soprattutto sugli ospiti; si perde così il piacere di stare insieme e di passare delle ore spensierate.

Valutiamo ora che cosa s’intende per piatti freddi. Non bisogna lasciarsi ingannare dall’aggettivo “freddi” perché alla base di ogni ricetta c’è sempre un ingrediente fondamentale cotto: la carne, per un vitello tonné, la gelatina per un aspic, la salsa di copertura per un pesce, ecc.

Ma valutiamo ora quali sono i veri protagonisti dei piatti freddi. Senza dubbio avremo nomi prevalentemente stranieri, perché il gusto, lo stile, la fantasia nelle composizioni ci viene da oltralpe. La Francia di Luigi XIV ne è l’esempio più emblematico; allora le portate arrivavano ad essere più di cinquanta, esistevano degli assaggiatori coadiuvati da vari aiutanti, e i cuochi reali (che erano più di 300) consideravano un fatto d’onore la riuscita di un soufflé.

La gelatina
La fresca, fragante, limpida gelatina. Quella che stuzzica gli appetiti più ritrosi, quella che ricopre delicatamente piatti di carni, pesci e verdure. La parola è di origine latina e deriva dal verbo gelare. Già nel 1300 troviamo piatti con il nome volgare di zillo e celo. Più avanti nel tempo, circa due secoli dopo, troviamo in un libro che descrive un banchetto, la portata con “gelatia”. Sorge comunque il sospetto che prima di diventare la raffinata composizione di oggi, la gelatina sia stata un ripiego per riutilizzare i liquidi di cottura delle carni; carni che non godevano certo di buona conservazione e che quindi venivano sempre preventivamente bollite. Ed ecco la definizione di gelatina di un anonimo cultore delle arti culinarie vissuto verso il 1600: “Bollita la carne o pesce in acqua, vino od aceto, aromatizzata, si restringe il brodo, si ricompone il tutto e il raffreddamento dà la massa ondulante”.

Le salse
Altro elemento indispensabile per ogni tipo di piatto freddo. Partono tutte da variazioni ottenute con le salse di base, veri pilastri della cucina. La nominatissima salsa besciamella, che unita alla gelatina, forma la chaud-froid, copertura in vari colori a seconda degli ingredienti contenuti, usata per carni delicate ma anche per selvaggina. La francesissima maionese che diventa rémoulade con l’aggiunta di senape, aiolì con l’aggiunta di aglio, mousseline quando è mescolata alla panna montata. E ancora la salsa americana con pomodoro e pepe di Caienna per tutti i crostacei, la salsa primaverile fatta con legumi novelli e tante tante altre.
E poi, ci sono i paté. Infinite sono le specie di paté esistenti, dal classico foie gras proveniente dal Périgord e dall’Alsazia, ai paté di cacciagione, forti di spezie e tartufo, ai semplici paté casalinghi fatti con il fegato di vitello. E’ un piatto ricco e laborioso, una mescolanza di ingredienti, se ne mangia poco proprio perché è estremamente nutriente e basta da solo alla riuscita di un pranzo. Oggi se vogliamo farlo in casa abbiamo dei validi aiutanti come le modernissime terrine infrangibili a chiusura ermetica.
Il coperchio bombato, durante la cottura trattiene il vapore, necessario a mantenere morbido l’impasto e a conservare anche nel tempo inalterati i profumi e gli aromi.

La mousse
Così più o meno potremmo definirla: qualsiasi tipo di ingrediente passato al tritatutto fino ad essere ridotto in poltiglia, ammorbidito con salse, gelatine, panna, accomodato e livellato in stampi allungati può essere chiamato con il nome di mousse. Questa più o meno la definizione tecnica, incapace però, di rendere al palato la delicatezza, la morbidezza e la fragranza di questa preparazione.

La galantina
Troviamo questo nome già nel Medioevo come forma dialettale di popoli abitanti la Dalmazia e sta a indicare carni tritate aromatizzate con pepe e pistacchi (questi ultimi forse portati dal passaggio dei Turchi conquistatori) e tartufi, arrotolate a forma di grosso salsiccione e accompagnate da gelatina.

L’aspic
Anche questo nome è di derivazione latina, viene da aspis, cioè serpente, e tale appunto era la foggia che anticamente veniva data a una preparazione fatta con pesci, carni, crostacei, verdure, addizionate all’immancabile gelatina. Oggi la foggia è cambiata, si usano per lo più stampi a forma di cono tronco che mettono maggiormente in risalto gli elementi della composizione attraverso la limpidezza della gelatina.

Il gelato
E’ senz’altro quello con la tradizione più antica. Furono infatti gli Arabi (sembra che a loro volta abbiano appreso l’arte del gelo dai Persiani di Serse e di Ciro) che portarono in Europa durante i diversi secoli della loro dominazione i famosi sorbetti a base di estratti di frutta sapientemente raffreddati. L’arte di far sorbetti era infatti un culto, unito a quello delle fontane zampillanti acqua e della fresca ombra dei portici smerlati; beni preziosi per chi come gli Arabi era nato e vissuto nell’arido e assolato deserto. Dagli Arabi, attraverso i secoli fino a noi, il gelato passa per le tavole dei regnanti, per i campi di battaglia, per le scomode gelatiere di zinco coperte di sale dell’ottocento, fino alle abili mani degli emigrati siciliani e napoletani che lo portano in America. Oggi è diventato un simbolo italiano, come gli spaghetti e la pizza, ma molte volte sembra aver perso il suo primitivo e genuino sapore.

Le spezie

Anche le spezie, come le erbe odorose, hanno impiego gastronomico antico, spiegabile non solo con ragioni strettamente culinarie, ma anche con ragioni sanitarie
I frigoriferi, lo sappiamo tutti, sono un’invenzione abbastanza recente. La conservazione dei cibi, delle carni in particolare, è quindi stata sempre una grande preoccupazione dei popoli antichi, che inventarono parecchi sistemi per evitarne la putrefazione, affumicando, mettendo sotto sale o in salamoia le riserve alimentari.

Presso i popoli asiatici erano molto diffuse le droghe che, col loro sapore acuto, potevano nascondere l’odore non certo piacevolissimo della carne..meno che fresca. Questo loro costume fu importato dai popoli classici del Mediterraneo, i greci e i latini, che ne conobbero l’esistenza grazie ai commerci dei fenici e degli arabi.
Grandissime quantità e varietà di spezie, quasi tutte vegetali, venivano usate dai cuochi dell’età imperiale: dall’anice al pepe, dai coriandoli allo zenzero, oltre al famoso silfio, considerato una panacea universale, originario della fertile terra cirenaica.
Tra l’altro, gli antichi usavano le spezie non solo nei cibi, ma anche nelle bevande (nel vino per esempio), nelle quali mettevano mirto, finocchio e mirra, zimetto, cassia.
Quanto vasto fosse nell’antichità l’impiego delle spezie è dimostrato dall’intenso commercio che se ne faceva, insieme ai papiri e ai tessuti, tra l’Oriente e Marsiglia. Oggi, facendo le debite proporzioni, il consumo di questi prodotti esotici è relativamente diminuito, se non altro perché minore è il loro uso in terapia. Notevole, invece, è il loro uso in cucina. Vediamo le più importanti fra queste spezie, fide alleate per la preparazione del bollito, dello stufato, dello stracotto e compagnia.

Incominciamo dalla paprica, che si ottiene in Ungheria dal Capsicum annuum longum, ed è coltivata anche nei paesi caldi e a clima temperato. La paprica è un’erba annuale con foglie ovali intere e fiori bianchi. I frutti, essiccati e ridotti in polvere, danno una spezia che può essere dolce, semidolce o acre, a seconda che contenga le parti placentari del pericarpo e le parti superficiali dei semi. Il colore rosso della paprica è dovuto alla capsicina contenuta nei semi. La paprica, che molti usano al posto del pepe, è molto usata negli umidi.

La noce moscata è il seme di un grosso albero sempreverde, la Myristica fragrans, che cresce nelle Filippine, nelle Indie orientali, a Sumatra e nelle Molucche. Il frutto, quello che consumiamo noi, viene da una bacca rosso-giallastra, con solco longitudinale che si apre al momento della maturazione liberando la noce, a forma di mandorla ovoidale lunga 2 cm e larga uno, con la superficie lievemente reticolata. Le noci moscate vengono preparate in due modi: all’olandese, cioè disseccate, affumicate, spogliate dell’involucro esterno e messe nell’acqua, con sale e calce, per preservarle dagli insetti; l’altro sistema è quello inglese, secondo il quale, semplicemente, le noci vengono messe al sole ad essiccare.

L’anice è il frutto della Pimpinella anisum della famiglia delle Ombrellifere, erba alta di origine orientale, coltivata anche nei paesi caldi del Mediterraneo e in Africa. L’anice ha un forte odore aromatico e sapore dolce, piccante.

I chiodi di garofano, che insieme alla noce moscata sono forse le spezie più conosciute dalla massaia italiana, sono i fiori non ancora sbocciati dell’Eugenia caryofillata, famiglia delle Mirtacee. Si tratta di un albero originario delle indie orientali ma coltivato anche in altri paesi. Le varietà commerciali del chiodo di garofano si distinguono in base alla provenienza: ci sono cioè i chiodi delle Indie orientali, i chiodi africani e quelli americani (per modo di dire, perché provengono dalle Antille, dalla Guaiana e dalla Caienna). Il chiodo di garofano contiene sostanze azotate, grassi, cellulosa. Poiché è fortemente aromatico, va usato a piccole dosi.

Il pepe è il frutto essiccato del Piper nigrum, una pianta a fusto lungo – raggiunge anche i 10 m di altezza – e sottile. Il Piper nigrum ha fiori disposti con spighe peduncolate, 20-40 frutti per spiga. Il pepe nero è quello che si ottiene da bacche raccolte non ancora mature, quando è appena iniziato l’arrossamento del frutto. Queste bacche vengono essiccate sotto vuoto. Il pepe bianco, chiamato così nonostante sia giallognolo, è quello ricavato dalle bacche mature messe a macerare nell’acqua, meglio se in acqua di mare, per 10 giorni. Dopo questo bagno prolungato, le bacche vengono decorticate a mano o a macchina. Il pepe contiene un olio volatile che gli dà quell’odore inconfondibile e una sostanza azotata alcaloidea, alla quale si deve il tipico, inconfondibile sapore del pepe.

Lo zenzero è il rizoma dello Zingiber, una pianta erbacea originaria dell’Asia. Quando la pianta comincia ad avvizzire si raccolgono i rizomi, che si lavorano con acqua, si essicano e si raschiano dopo averli imbiancati con anidride solforosa. Lo zenzero ha un forte odore aromatico, lievemente bruciante.

La cannella, decisamente un profumo singolare, è la corteccia di una pianta originaria di Ceylon, sempreverde. La corteccia viene staccata con incisioni longitudinali e poi raschiata per eliminare lo strato tuberoso, quindi arrotolata in fogli sottili e messa a seccare all’ombra. Le qualità commerciali di cannella sono molte, ma le due più importanti sono la cannella ceylon e la cannella china. Per l’uso, solitamente, la cannella viene frantumata. E’ importante ricordare che la cannella in polvere è quasi sempre di qualità scadente. Anche la cannella, come il chiodo di garofano, è fortemente aromatica e va usata con parsimonia.

La cottura delle uova

Gli esperti di gastronomia dicono che le ricette con le uova sono infinite: è vero, l’uovo è il jolly della cucina, perché serve in tutte le occasioni, dall’antipasto al dolce, si può usare per il consumo o anche solo per la decorazione. Ma, sempre gli esperti dicono anche che i modi fondamentali per cuocere questo insostituibile alimento sono solo nove. Vediamoli.

Uovo al guscio: è quello in cui il tuorlo è appena tiepido e il bianco appena indurito; è digeribilissimo, molto adatto per i bambini. Per cuocerlo occorre mettere l’uovo in acqua bollente per un minuto. Spegnere e lasciare nell’acqua per altri due minuti.

Uovo sodo: è il “classico”, anche se in effetti tutti lo fanno senza conoscere con precisione le regole per questo tipo di cottura. Per prepararlo si mette sul fuoco un recipiente con molta acqua: quando bolle si immerge l’uovo con l’aiuto di un cucchiaio per evitare che l’uovo si rompa quando si adagia sul fondo. Ricordate che le uova sode, appena tolte dal recipiente di cottura, vanno messe sotto l’acqua fredda, perché in tal modo sono poi più facili da sgusciare. Tempo di cottura per l’uovo sodo: una decina di minuti.

Uovo barzotto (o barzotto o semiduro): è simile all’uovo sodo, ha solo un tempo di cottura inferiore (4 o 5 minuti): l’albume si dovrà presentare sodo e il tuorlo ancora un po’ morbido.

Uovo affogato: è quello che si cuoce nell’acqua, senza il guscio. E’ digeribilissimo e può essere consumato con l’accompagnamento di salse. Per prepararlo occorre una pentola piuttosto larga nella quale ci siano acqua salata e un cucchiaino di aceto. Quando l’acqua giunge a ebollizione, occorre abbassare la fiamma, mantenendo un’ebollizione appena accennata, versare con delicatezza l’uovo e lasciarvelo per 3 minuti. Si deve poi spegnere la fiamma e togliere l’uovo col mestolo forato, immergendolo in acqua fredda per fermare la cottura. Alcune avvertenze: mai far cadere l’uovo dall’alto, perché il tuorlo potrebbe rompersi; non usare la forchetta per toglierlo dall’acqua e non far cuocere troppe uova contemporaneamente. Per una migliore presentazione, prima di servire, si possono pareggiare i bordi delle uova affogate con un bicchiere capovolto.

Uovo al piatto: si prepara imburrando un tegame che può andare in forno, dove si fa scivolare l’uovo senza romperlo. Si sala solo il bianco. In un recipiente a parte si fa fondere il burro da versare sull’uovo. Si mette il tutto in forno caldo per circa 5 minuti.

Uovo fritto: molti lo chiamano all’occhio di bue; è quello cotto sulla fiamma del gas facendo fondere il burro nel tegamino e versandovi delicatamente l’uovo. Si sala e si lascia cuocere a fuoco moderato per 3 minuti, versandovi sopra ogni tanto un poco del grasso di cottura. Se si vuole il tuorlo poco rappreso ma con il bordo croccante, si cuoce prima l’albume, e poi si fa scivolare nel centro il tuorlo, cuocendolo un solo minuto.

Uovo in tazzina: detto anche “in cocotte”, è quello cotto in speciali cocottine, che possono però anche essere sostituite da comuni tazzine resistenti al fuoco. Per la preparazione occorre ungere le tazzine col burro, scaldarle in acqua bollente e mettervi le uova con un fiocchetto di burro. Le tazzine vanno quindi disposte in un recipiente largo pieno di acqua calda fino a metà della loro altezza. Si mette in forno caldo per una decina di minuti.

Uovo strapazzato: diffusissimo, va battuto quel tanto che basta e mescolare il tuorlo all’albume. Va cotto con pochissimo burro caldo e rimescolato, a fuoco moderato, per 2-3 minuti. Si aggiunge ancora un pezzetto di burro, si mescola, si toglie subito dal fuoco e si versa su un piatto da portata per fermarne la cottura.

La frittata: è buona comunque fatta, semplice o farcita, alta o bassa, fredda o calda. Per prepararla basta battere le uova fino a quando formano un po’ di schiuma e cuocerla in condimento bollente nell’apposita padella.

L’omelette: è una frittata sulla quale si posa generalmente un ripieno (può anche essere senza ripieno) e di cui si ripiegano i due lembi sovrapponendoli un poco.

Uova fresche e conservate

La freschezza dell’uovo ha la sua importanza.
Le stagioni migliori per consumarlo sono la primavera e l’estate; durante l’inverno, infatti, la “catena di montaggio” delle galline diminuisce sensibilmente il ritmo di lavorazione e la produzione cala. Pertanto, durante i mesi freddi consumiamo le uova che le grandi industrie hanno acquistato in primavera conservandole in maniera tale da poter rifornire il mercato nei “periodi di magra”.

I sistemi per conservare le uova sono molti: tralasceremo quelli più rudimentali, che speriamo ormai abbandonati, per parlare di quello più razionale e avanzato.
L’uovo è delicato e acquista con molta facilità i cattivi odori che assorbe attraverso la porosità del guscio. Perciò, affinché il suo sapore rimanga inalterato, è necessario che l’uovo venga conservato in un ambiente pulito, alla giusta umidità.
Generalmente le uova vengono conservate a temperatura zero, per rallentare i processi di invecchiamento, in magazzini dove l’aria è purificata dagli ionizzatori, che provvedono anche a mantenere l’umidità non superiore all’80%.
E’ evidente, però, che l’uovo conservato in queste condizioni ambientali, che potremmo definire ottimali, si mantiene bene se è stato immagazzinato fresco. Nel caso in cui, al momento dell’entrata in frigorifero, fosse già poco fresco, il suo stato di salute non può certo migliorare. Prima dell’immagazzinamento si usa quindi svolgere l’operazione “speratura”. In che cosa consiste? In un ambiente scuro, sul tipo di quello impiegato dai fotografi per lo sviluppo e la stampa delle foto, si fa passare l’uovo davanti a una sorgente luminosa, che consente di vedere attraverso la trasparenza del guscio le eventuali alterazioni dell’albume e del tuorlo.
L’uovo fresco ha la bolla d’aria piccolissima, qualche millimetro, e il tuorlo sta al centro dell’albume, che è una massa compatta, densa, di colore molto chiaro. Fino a qualche anno fa, quando tutto il ritmo della vita era meno frenetico, anche salumieri e lattai disponevano di una lampadina vicino al banco e, prima di consegnarci il pacchetto delle uova acquistate, compivano quell’operazione un po’ misteriosa che ha sempre affascinato i ragazzini. Chissà quanti di noi si sono domandati come facessero, in così pochi secondi, a vedere bene dentro l’uovo per valutarne la freschezza.
Infatti occorre controllare l’albume, per sentire se è acquoso, vedere la grandezza della bolla d’aria e la posizione del tuorlo che, spostato verso l’alto, indica una certa “vecchiaia”. E quest’ultimo fatto spiega perché, quando facciamo le uova sode, spesso troviamo il tuorlo tutto da una parte, quasi attaccato al guscio.
Vediamo dunque come si può stabilire la freschezza dell’uovo, il più delle volte relativa, soprattutto per chi abita nelle grandi città e non possiede una fonte diretta per approvvigionarsi. L’uovo fresco è pesante perché è pieno e, se lo scuotiamo lievemente, non sentiamo rumore, mentre se è vecchio fa una specie di sciacquio: è l’albume, divenuto acquoso, che sbatte contro le pareti del guscio.
L’uovo fresco, inoltre, ha un bel guscio bianco o comunque di colore deciso e di grana compatta, senza macchie e impurità. A questo proposito occorrerà dire che non c’è differenza, da nessun punto di vista, tra l’uovo a guscio chiaro e quello a guscio scuro. E’ invece importante il colore del tuorlo: se è troppo pallido indica che la gallina produttrice è stata allevata con un cattivo nutrimento.
Altrettanto importante è l’aspetto del guscio: occorre diffidare dell’uovo sporco, perché proprio a causa della sua porosità il guscio assorbe odori e sapori ed è quindi inevitabile che, se sporco, abbia assorbito qualcosa delle sostanze che lo imbrattano.

Sistemi di cottura degli arrosti

Esistono vari metodi di cottura per avere un buon arrosto.

Cottura al forno
deve sempre avvenire a temperatura inizialmente molto alta, in modo che si formi all’esterno uno strato croccante che imprigiona i succhi interni; il forno ideale è quello provvisto di termostato che permette di mantenere una temperatura costante: in caso contrario occorre controllare che la carne non bruci, rivoltandola ogni tanto e irrorandola spesso con il suo fondo di cottura. Questo tipo di cottura è da preferirsi in molti casi a quella condotta sul fuoco: con quest’ultimo sistema il calore viene solo dal basso, mentre nel forno la carne viene avvolta da un calore uniforme che la cuoce perfettamente in meno tempo senza esigere particolari attenzioni da parte di chi cucina.

Cottura al cartoccio
è un sistema di cottura particolarmente adatto per pollame; l’animale viene condito con pochissimo grasso (in taluni casi non se ne fa assolutamente uso), profumato con qualche erba aromatica e avvolto strettamente in un cartoccio di carta oleata e di carta d’alluminio: se si lasciano fessure si compromette il risultato della preparazione. Così avvolta la carne cuoce nel suo grasso sfruttandolo completamente e risulta molto più digeribile e saporita; se si desidera una carne molto rosolata si apre il cartoccio al termine della cottura, si mette l’animale in una teglia, unendo anche il suo sughetto e si passa in forno molto caldo per qualche minuto. L’ideale sarebbe comunque portare in tavola su un piatto di portata il cartoccio ancora chiuso per non disperdere l’aroma della preparazione.

Cottura alla creta
come la cottura al cartoccio, è particolarmente indicata per pollame, soprattutto polli e faraone, le cui carni divengono morbidissime e molto saporite. Dopo aver avvolto l’animale in un foglio di carta oleata, lo si mette nell’apposito cuocipollo in creta, che si trova in commercio oppure s’impasta della creta con un po’ di acqua e la si modella tutt’intorno al cartoccio racchiudendovelo completamente: questo involucro dovrà poi essere rotto con un martello un attimo prima di servire in tavola (per ovvie ragioni si sconsiglia di fare questa operazione davanti ai commensali). Una variante della cottura alla creta può essere considerata la cottura sotto la sabbia; ambedue i tipi di cottura hanno origini antichissime. I beduini arabi, per esempio, usano ancora oggi questo metodo millenario: coprono di sabbia asciutta un agnello e vi accendono sopra un gran fuoco; quando questo si è esaurito, disseppelliscono l’animale e lo mangiano. Anche in Sardegna i pastori usano ancora un metodo di antica tradizione, straordinariamente efficace; scavano una fossa grande quanto l’animale che dovrà contenere (una lepre, un coniglio, una capra ecc.), la tappezzano completamente di pietre levigate, vi depongono la preda, scuoiata, pulita e insaporita con erbe odorose, infine coprono tutto con altre pietre, vi ammassano sopra grandi fascine di legna secca e fanno il fuoco. Alla fine tirano fuori da questo vero e proprio forno improvvisato un animale cotto stupendamente nel proprio grasso, con carni tenere, asciutte morbide e profumate.

Cottura al sale
è adatta per roast-beef e pollame; consiste nel fare uno strato di sale grosso in una casseruola, appoggiarvi la carne e ricoprirla completamente con altro sale grosso; la cottura dovrà naturalmente essere fatta in forno caldissimo. Al termine della cottura la massa di sale, che si sarà solidificata, dovrà essere rotta con un batticarne, la carne va estratta con decisione e le tracce di sale eliminate con una pennellessa (se si vuole proteggerla completamente dal sale avvolgerla, prima della cottura, in un foglio di carta oleata). Anche con questo sistema la carne cuoce praticamente nel suo grasso.

Quest’ultimo riferimento ci porta a un’altra considerazione fondamentale: non è possibile cucinare arrosto un pezzo di carne magra. Rischieremmo di trovarci nel piatto un qualche cosa di coriaceo, stopposo, decisamente immangiabile. E’ questo un fatto da tenere sempre presente: un bel pezzo di carne per arrosto deve avere le sue brave parti grasse e se non ne ha si provvede a bucherellarla e imbottirla con striscioline di lardo o pancetta.

Due parole infine sull’arrosto morto: si tratta della cottura della carne in casseruola, protratta a calore moderato, a recipiente coperto, con l’aggiunta, di solito, di un poco di brodo o di altro liquido; è adatta per questo tipo di cottura soprattutto la carne di vitello e tutte le carni che risultano un po’ asciutte.

La preparazione dell’arrosto

Se la carne ha le sue giuste dosi di grasso, non occorre niente.
Se abbiamo invece parti completamente magre o animali interi particolarmente coriacei è allora necessario compiere l’operazione di arricchirli di quel grasso che manca. Ciò può avvenire in due modi: il primo è detto “lardellare” o “steccare” e consiste nel perforare la carne con un apposito ago, reperibile in tutti i buoni negozi di casalinghi, e nell’imbottirla di listerelle di lardo o di altri ingredienti grassi; il secondo è detto invece “bardare” e si pratica avvolgendo la carne o l’animale in sottili fette di pancetta o di prosciutto grasso. In questo caso è necessario imbrigliare il cibo da cuocere con del filo neutro da cucina che verrà tolto a fine cottura. La legatura è utile, indipendentemente dalla presenza o meno della bardatura, anche per evitare che durante l’esposizione al calore la vivanda si deformi. Ciò vale soprattutto per i volatili che debbono rimanere con ali e zampe raccolte e aderenti al corpo.

Esistono alcune regole-base che non bisogna mai dimenticare, tanto se si prepara un arrosto allo spiedo che al forno.
1) è fondamentale che la carne riceva una prima, violenta scottata capace di provocare in superficie la crosticina indispensabile per impedire la fuoriuscita dei succhi. Per questo motivo il cibo va avvicinato al fuoco o va messo nel forno quando il calore è già elevato. Grave errore sarebbe, per esempio, infornare a freddo e lasciare che la carne subisca la lenta evoluzione termica del forno. Gran parte dei suoi umori energetici andrebbe irreparabilmente perduta e la carne stessa rimarrebbe considerevolmente più fibrosa e dura.
2) per gli stessi motivi esposti qui sopra è opportuno non bucare assolutamente mai la carne nella prima fase della cottura. Soltanto all’ultimo, ma proprio all’ultimo, è consentito saggiare con la punta della forchetta per controllare la cottura. Ricordiamoci che un arrosto è perfetto quando la forchetta vi penetra agevolmente senza incontrare resistenza.
3) nel caso di animali o pezzi di carne “bardati” con fette di pancetta o di prosciutto (è, questo, un tipo di preparazione adatto più la forno che allo spiedo) bisognerà togliere la bardatura dieci minuti prima della fine, per consentire alla carne di prender colore.
4) se si cuoce allo spiedo, dinanzi a un camino, si deve mettere sotto la carne la cosiddetta “leccarda”, un recipiente apposito che serve a raccogliere il sugo gocciolante e il grasso. Per ammorbidire la carne in cottura sarà opportuno irrorarla di tanto in tanto con il fondo che si raccoglie nella “leccarda” o, se questo non bastasse, con poco olio d’oliva.
5) se si cuoce in forno bisogna ridurre l’intensità del calore dopo la prima scottata. La carne di bue, ad esempio, la si farà rosolare a 250° e si continuerà la cottura a 200°. La temperatura ottimale per il vitello e per l’agnello è di 200°, mentre per il pollame e la selvaggina oscilla tra i 200° e i 220°.

TEMPI DI COTTURA
Vale sempre la regola empirica ma infallibile della prova con la forchetta a fine cottura. Tuttavia diamo qui di seguito dei tempi indicativi calcolati tutti per 500 gr di carne.

Agnello 25 minuti
Anitra 30 minuti
Coniglio 25 minuti
Costata di manzo 15 minuti
Filetto intero 15 minuti
Maiale 30 minuti
Oca 25 minuti
Piccione 20 minuti
Pollo 20 minuti
Selvaggina 30 minuti
Tacchino 30 minuti
Vitello 25 minuti

Se i pezzi di carne a disposizione superano il peso indicato, si deve com’è ovvio aumentare in proporzione i tempi. Così per un pollo da 1 kg e mezzo si stabilirà circa un’ora di cottura.
Al termine della cottura è consigliabile lasciar riposare l’arrosto per un quarto d’ora, perché se lo si affetta caldissimo la carne si sbriciola malamente.

Gli aromi e il vino per gli arrosti

Vi sono alcune erbe entrate ormai così radicalmente nell’uso comune da rendere inconcepibile la preparazione di un piatto senza di loro.

Ci riferiamo a rosmarino, salvia, timo, maggiorana, aglio, cipolla, ginepro, peperoncino, lauro e origano. E’ sempre bene tenerne in casa una scorta: freschi, se è possibile, altrimenti in polvere, contenuti in scatolette o in boccettine di vetro. Le erbe di uso più comune sono rosmarino, salvia e lauro, consigliabili con tutte le carni. Le altre citate, ad esclusione dell’origano, adatto più ai pesci, sono più indicate per la selvaggina.

Non esistono dosi possibili: in questo caso ci si deve fidare della propria sensibilità di gastronomi e, anche, della propria esperienza. E’ consigliabile unire le erbe all’arrosto nella prima fase della cottura, per dar modo alla carne di assorbirne il profumo, ma si deve fare attenzione a non eccedere perché se un giusto grado di aroma migliora il piatto, un eccesso lo può rovinare irreparabilmente.

Oltre alle erbe abbiamo a disposizione le cosiddette droghe o “spezie” che dir si voglia: pepe bianco e nero, cannella, chiodi di garofano, noce moscata, paprica e zenzero. Se le erbe aromatiche è meglio metterle all’inizio della cottura, il discorso è inverso per le spezie che, in una lunga esposizione al calore, perderebbero totalmente il loro profumo e le loro caratteristiche. Aggiungiamole dunque verso la fine, un quarto d’ora o venti minuti prima di concludere la preparazione, e anche in questo caso impariamo a dosarle con molta attenzione: un piatto cucinato con troppe erbe aromatiche è cattivo ma, tutto sommato, mangiabile. Un piatto con troppe spezie è da buttare via.

Chi non prende in considerazione il vino, difficilmente potrà gustare un buon arrosto perché, sia nella cottura in forno che nella cottura sul fornello, il vino va aggiunto quasi sempre. Ed ecco, a questo proposito, alcune regole di base: il vino deve essere quasi sempre bianco secco; raramente rosso e generalmente solo per la selvaggina da pelo; si versa sulla carne quando questa si è completamente rosolata e il fuoco è vivace, in modo che insaporisca l’arrosto ed evapori senza lasciargli un gusto vinoso troppo acuto (dopo aver irrorato la carne si lascerà scoperchiato il recipiente). Mezzo bicchiere di vino basta a insaporire un kg di arrosto circa. Una cosa è molto importante: non usare mai a questo scopo vini di dubbia provenienza o di qualità molto scadente. Si rovinerebbe tutto. Il vino va senz’altro aggiunto a metà cottura: se ci si dimentica, meglio desistere piuttosto che unirlo alla fine, aggiungerebbe inutilmente umidità rammollendo l’appetitosissima crosticina.

Infine, per restare in tema, diciamo due parole sui vini da servire con l’arrosto. Spesso la padrona di casa, di fronte a questi problemi, rimane perplessa e non sa che fare. Ecco dunque qualche regola da tener sempre presente.
La cottura arrosto, lo abbiamo visto, è cottura completa, che ha il potere di non disperdere nessuna delle caratteristiche nutrizionali della carne; i sapori, inoltre, sono abbastanza decisi, vuoi per le particolarità stesse della carne, vuoi per gli aromi impiegati nella preparazione. E’ quindi indispensabile un vino rosso, piuttosto robusto, di spiccato sapore.

Le carni da arrosto

Un buon arrosto deve cuocere a lungo. Ma le esigenze della massaia moderna sono tali da rendere impensabile, salvo rare occasioni, tale possibilità. E’ perciò necessario orientare la scelta, quando si va a fare acquisti dal macellaio, verso carni abbastanza tenere da garantire una perfetta cottura nel minor tempo possibile. E’ tanto più indispensabile, quindi, avere carni provviste di una certa quantità di grasso. Se si domanda al macellaio un pezzo di “arrosto” ci vedremo consegnare, quasi sempre, della punta di petto disossata e legata, già pronta per essere messa a cottura. Ma esistono vari altri tipi di carne. Vediamo di classificarli:

- vitello: spalla disossata, coscia, carrè.
- manzo: filetto, controfiletto, lombata, noce e sottonoce. Sono i tagli di maggior pregio, ma per taluni, come per esempio per la noce, è consigliabile, prima di avviare la cottura, una attenta lardellatura.
- maiale: filetto, spalla, carrè, prosciutto. Se è un maialino da latte, di piccole dimensioni, lo si può arrostire intero e sarà una autentica leccornia.
- agnello: carrè, cosciotti, sella, barone. Anche in questo caso, se si tratta di animali appena nati, li si può cucinare interi.
- coniglio: la carne del coniglio, leggera e tenera di per se stessa, è fra le migliori per una cottura arrosto. L’animale può essere cucinato intero o a pezzi e si presta, in modo particolare, per il forno.
- capponi e polli: vanno preparati interi o a pezzi.
- selvaggina: il termine è vasto, e comprende cinghiali, caprioli, camosci, fagiani, lepri, anitre, pernici, beccacce ecc. Le preparazioni sono molteplici: spiedo, forno, griglia, a seconda della dimensione della preda.

L’antipasto vegetale

Gli antipasti vegetali sono assai indicati per il pranzo quando possono sostituire benissimo la minestra, anticipando ottimamente i piatti di pesce o di carne. Vediamo ora quali sono i vegetali più indicati.

Carciofi, peperoni, zucchine, melanzane e pomodori sono particolarmente adatti ad essere farciti e cotti in forno (i pomodori sono ottimi anche crudi e riempiti con maionese, tonno, ecc.); queste verdure sono molto gradite anche nella stagione calda, durante la quale, se ben combinate con altre preparazioni, possono sostituire egregiamente il primo piatto. Anche patate e cipolle possono costituire la base di antipasti poco usuali ma ugualmente molto saporiti: patate ripiene, tortini di patate, cipolle in agrodolce ecc.

Un discorso a parte va fatto per le cosiddette crudità, le verdure che si consumano in pinzimonio: quelle classiche sono il finocchio, il sedano, lo scalogno, le cipolline fresche, le carote. Queste verdure, che vanno tagliate grosse, debbono essere lavate con molta cura (è consigliabile lasciarlo sotto l’acqua corrente per un po’ di tempo) e asciugate molto bene. Un suggerimento: dopo averle lavate e sgocciolate, mettetele in frigorifero, dove l’acqua rimasta evapora lasciando le verdure belle croccanti, asciuttissime ma non secche.

Le verdure che abbiamo indicato, delle quali la carota è decisamente la più colorata, si portano in tavola su grandi piatti nei quali l’elemento cromatico gioca una parte di rilievo. Con piatti di questo genere è molto simpatico usare contenitori insoliti, rustici. Inoltre, non vanno dimenticate le tazzine da sistemare dinanzi ad ogni commensale perché si prepari il pinzimonio nelle dosi volute (per condire occorre preparare olio, sale, pepe e anche la senape piccante, che molti gradiscono).

Altre verdure per un antipasto vegetale possono essere i funghi freschi (gli ovoli tagliati a fette sottili, crudi, conditi con olio, pepe, una goccia di limone e formaggio grana a scagliette), i fagiolini verdi, lessati e conditi con maionese, tagliati a pezzettini.

Un particolare da ricordare, tanto per avere una certa uniformità del materiale che va poi “decorato”, è questo: tagliarlo a pezzetti più o meno della stessa dimensione. Quanto alle decorazioni, i piatti possono essere abbelliti con le classiche foglioline di prezzemolo o di insalata, con le rotelle di limone e anche, è una presentazione molto simpatica, con fiori.
Se si ricorre ai fiori, si sceglieranno ovviamente quelli dai colori più vivaci e dal profumo poco intenso, che non sciupino il gusto delle verdure proposte alla gioia del palato. Secondo le regole del galateo l’antipasto, la sera, non si porta in tavola se non nelle grandi occasioni, e in tal caso esso deve essere composto di elementi che sono di rigore. Primo signore incontrastato di questi antipasti impegnativi è il caviale, al quale fanno degnissima cornice il salmone affumicato, le ostriche e i cocktails di crostacei.

W

Worcestershire sauce
salsa inglese liquida molto concentrata a base di aceto d’orzo maltato, salsa di soia, essenza d’acciughe, essenza di carne, melassa, aglio, scalogno, sale, pepe, zucchero ecc.

S

Saltare
procedimento che si usa per carni, frittate o verdure che vengono cotte in padella a fuoco vivo. La definizione nasce, probabilmente, dal movimento che si imprime alla padella per rivoltare il cibo senza l’uso di forchetta o altro utensile.

Sbollentare
immergere per qualche minuto in acqua bollente un legume per renderlo più morbido prima della cottura, oppure frutta secca, come mandorle o noci, per facilitarne la pelatura. Si sbollentano anche i pomodori per pelarli più rapidamente, oppure il lardo per togliere l’eccesso di sale e gli zampetti o le cotenne per sgrassarli.

Sobbollire
cuocere a calore tenue in modo che il bollore sia insensibile. Si usa questo sistema di cottura per ragù, brasati e altre preparazioni che richiedono un tempo lunghissimo.

Spezie
sostanze aromatiche, in genere di provenienza esotica, che si usano per insaporire i cibi e vanno dosate sapientemente, specie se sono piccanti, perché potrebbero alterare il sapore del cibo. Tra le più comuni: pepe, paprica, cannella, chiodi di garofano, curry, noce moscata, semi di finocchio.

Stemperare
mescolare una sostanza asciutta o compatta, come la farina o il lievito, con acqua, latte o uova. Mescolare lentamente per evitare la formazione di grumi.

Stufare
far cuocere in un recipiente coperto carne o altre vivande a fuoco molto moderato, in un sugo allungato con brodo, acqua o vino quando l’umidità emessa dal cibo stesso non è sufficiente per la cottura.

Schiumare
eliminare, usando l’apposita schiumarola, la schiuma che si forma sulla superficie di una salsa o di un brodo.

Sgrassare
eliminare lo strato di grasso che si forma sulla superficie di un liquido o di una salsa.

Soffritto
è così chiamato un battuto di cipolla e di altre verdure fatte cuocere dolcemente in un grasso fino a ridurle al massimo senza lasciarle colorire.

Steccare
introdurre nella carne, attraverso piccoli taglietti, praticati con l’apposito utensile, filettini di aglio o di altre verdure, ciuffetti di rosmarino, filetti di lardo, di prosciutto ecc.

Salvia
erba aromatica; è tonica e ha un aroma gradevolmente amaro; viene usata in molte ricette ma è particolarmente adatta per la cacciagione, per i pesci ai ferri e al forno e per gli spiedini di carne.

R

Ridurre
concentrare, mediante evaporazione, una salsa o un intingolo che acquistano così maggior gusto.

Rosolare
far prendere un colore dorato a una vivanda, nel burro, nell’olio o in altro condimento, prima di iniziarne la cottura vera e propria.

Rinvenire
far ammorbidire in acqua o in altro liquido ingredienti secchi, come funghi, prugne, uvetta. Si fa ammorbidire in acqua anche la colla di pesce prima di farla sciogliere. Far colorire in grassi diversi alimenti di vario genere.

Regaglie
si chiamano così le interiora del pollame.

Rognonata
lombata di vitello con attaccato il rognone.

Rosa
parte di carne ricavata dalla parte superiore della coscia del manzo.

Rosmarino
erba aromatica tonica e stimolante dal caratteristico pungente profumo; è adattissimo a ravvivare gli arrosti più delicati (vitello, coniglio, pollo, agnello). In alcune regioni, come in Toscana, si usa per condire focacce e panini.

Rognone
rene degli animali macellati, molto usato in cucina, tagliato a fettine e trifolato oppure intero e cotto alla brace.

Rémoulade
salsa ottenuta aggiungendo la senape alla maionese. Indicata per carni lesse e pesce.

P

Pirofila
recipiente fabbricato in una speciale sostanza porcellanata o vetrificata resistente al calore del forno e anche a quello della fiamma diretta. Molto utile per le preparazioni che vanno servite nel recipiente di cottura.

Passino
attrezzo costituito da una reticella, attraverso la quale si passa un liquido per filtrarlo, e da un manico isolante.

Puntine
estremità delle costole di maiale solitamente impiegate nella preparazione della verzata o del bottaggio, piatto tipico della cucina milanese.

Prezzemolo
erba aromatica; è stimolante e diuretico e può accompagnare quasi tutti i cibi: minestre, pastasciutte, risotti, carni, pesci, uova, verdure e salse. Affinché non perda il suo particolare aroma, si consiglia di unirlo alle vivande a cottura quasi ultimata.

Puré
termine derivante dal francese purée, dal verbo purer, passare, indica appunto vari tipi di verdure passate: classico è il puré di patate. Il termine comunque si può anche usare per qualunque preparazione venga passata al setaccio o passaverdure.

Pistacchio
frutto dell’albero omonimo simile ad un’oliva il cui seme di colore verde è tenero e commestibile. Può essere consumato fresco o tostato e salato.

Paella
vocabolo spagnolo derivante dall'antico francese "paelle" cioè padella. E' una tipica preparazione di Valenza a base di riso con l'aggiunta di verdure, frutti di mare, pollo, maiale e pezzi di anguilla.


M

Matterello
utensile in legno di forma cilindrica che può raggiungere il metro di lunghezza e serve per stendere la pasta dolce o salata.

Mousse
spuma in francese. Si definiscono così svariate preparazioni molto soffici la cui base è sempre un alimento ridotto in purea (carni, pesci, crostacei, fegato d’oca ecc.); vengono generalmente servite fredde come antipasto.

Marinare
lasciar immerso un alimento (generalmente carne o pesce), per un periodo più o meno lungo, in un liquido fortemente aromatizzato con erbe o altre sostanze aromatiche.

Marinata
liquido aromatico in cui si fanno marinare carni e pesci.

Maggiorana
erba aromatica di intenso profumo, aperitiva e stimolante, abbondantemente usata nella cucina meridionale; si usa per i ripieni, gli umidi, carni e pesci arrostiti e per le marinate.

Menta
erba aromatica; è digestiva, tonica, stimolante e ha profumo molto fresco e vivo. Non è molto usata nella cucina italiana; generalmente la si impiega nella preparazione di frittate e alcune verdure (piselli, zucchine, funghi) oltre a sostituire il basilico in qualche ricetta. Famosa è la “mint-sauce”, una salsa di menta inglese che si serve in accompagnamento all’agnello arrosto.

Mazzetto guarnito
è un mazzetto di rametti di prezzemolo, uno di timo e una foglia di alloro, legato con del filo.

Madera
vino bianco dolce prodotto nella omonima isola dell’Atlantico. Il suo uso in cucina dà un tocco raffinato a tutte le preparazioni.

Mandorla
drupa verde e pelosa, frutto del mandorlo, contenente uno o due semi commestibili che possono essere dolci o amari. L’olio estratto da questi frutti è usato in farmacia e cosmesi come emolliente.

L

Letto
si dice di foglie di lattuga o di altra vivanda già cotta, come riso o purè di patate, che si adagia sul piatto da portata per disporvi sopra la preparazione vera e propria.

Lardellare
introdurre pezzetti di lardo o di altri ingredienti grassi nella carne attraverso taglietti piccoli e profondi, praticati nel senso delle fibre con l’apposito attrezzo. Può anche significare avvolgere un pezzo di carne in fettine di lardo.

Lardello
utensile di cucina che serve per lardellare.

Lonza
lombata del maiale, parte dell’animale molto magra e pregiata, adatta quindi a preparazioni particolari tipo arrosti o scaloppine. Essendo piuttosto asciutta, richiede una cottura lenta e condimenti adeguati.

I

Imbrigliare
legare con del refe o dello spago.

Incorporare
aggiungere un nuovo ingrediente a un composto già in fase di lavorazione.

Insaporire
rendere più saporito un cibo con sale, spezie, erbe aromatiche o facendolo rosolare in un condimento.

Imbiondire
far rosolare leggermente in una sostanza grassa una vivanda (generalmente cipolle o verdure tritate) facendole prendere un colore appena dorato.

K

Ketchup (tomato)
salsa inglese agrodolce ottenuta addizionando alla salsa di pomodoro cipolle, zucchero, salsa di soia, aceto, droghe e sale. Si serve come accompagnamento di carni fredde e si usa anche come ingrediente nella preparazione di salse composte.

G

Gelatina
è ottenuta mediante la prolungata cottura di sostanze gelatinose in un liquido e successivo raffreddamento del liquido stesso. Solitamente per gelatina si intende un brodo preparato facendo cuocere parti di carne adatte come geretto, girello, piedino.
Si può ottenere una gelatina molto rapidamente anche aggiungendo a un liquido caldo dei preparati gelatinizzanti già pronti in commercio sotto forma di compresse o in polvere.

Giambonetto
coscia di pollame disossata, farcita con un ripieno e arrostita.

Girello
è la parte superiore esterna della coscia bovina; è costituita da una fascia di muscoli di forma allungata.

Glassatura
strato coprente che può essere costituito da sciroppo di zucchero con aggiunta di albumi oppure di cioccolato fuso. Si usa generalmente per i dolci, ma è un termine adottato genericamente per indicare un’operazione che rende lucidi gli ingredienti di una preparazione.

Galletta
specie di biscotto sottile fatto con pasta di pane, in uso presso le forze armate, soprattutto in marina.

Garretto
parte degli arti inferiori del vitello o del manzo che ha per base il tarso.

Granchio
crostaceo della famiglia dei Brachiuri. Il sapore delle sue carni, molto delicato, ricorda quello dell’aragosta. E’ venduto anche in scatola conservato al naturale.

Giulebbe
tipo particolare di sciroppo denso di zucchero condito con succhi di frutta, infusione di fiori e aromi.


F

Farcire
introdurre un ripieno nell’interno di un volatile, di un ortaggio o di una cavità praticata appositamente in un pezzo di carne. Il procedimento si usa anche in pasticceria, riferito a torte tagliate in vari strati e spalmate di crema.

Foderare
rivestire con uno strato di pasta, biscotti o pan di Spagna, stampi per la preparazione di dolci. Oppure ricoprire con fettine di lardo, recipienti per la preparazione di terrine, paté, ecc.

Fondo
deriva dal francese “fond” e indica solitamente il condimento rimasto nel recipiente di cottura di carne, pollame o altra vivanda.

Fontana
modo di disporre la farina sulla spianatoia o sul ripiano di lavoro, facendovi un incavo nel centro per deporvi gli ingredienti necessari alla preparazione di una qualunque pasta.

Friggere
metodo di cottura per carni, pesci e verdure. Per ottenere una frittura perfetta bisogna usare l’apposita padella di ferro munita di cestello e condimento (olio, strutto, burro) ben bollente. A cottura terminata il cibo fritto va “asciugato” dall’unto su un foglio di carta assorbente.

Foie gras
fegato d’oca o di anitra ingrassate. Il fegato di questi animali raggiunge un peso notevole ed è assai pregiato, specialmente se è di colore bianco tendente al rosato. Il foie gras, considerato una delle più ghiotte specialità della cucina francese, entra nella preparazione di diversi piatti, soprattutto antipasti, terrine, patè.

Fricassea
si dice di una vivanda tagliata a pezzetti (pollo, coniglio, vitello ecc.) stufata o completata con una salsa a base di tuorli d’uovo, panna liquida e, spesso, succo di limone.

Farcia
composto costituito da due o più ingredienti, perfettamente amalgamati, con il quale si può riempire o spalmare carni e volatili.

Fesa
è così chiamata la polpa di vitello in genere; essendo carne molto tenera è adatta, oltre che per gli arrosti, anche per bistecchine, scaloppine, involtini ecc.

Fondo di cottura
è il sughetto denso che si forma sul fondo del recipiente in cui viene cotta la carne.

Fecola
sostanza amidacea farinosa che si ottiene da alcuni tipi di bulbi o tuberi. Può essere di patate, castagne ecc. La fecola più usata è naturalmente quella di patate, largamente impiegata in cucina, specialmente nella preparazione di dolci che rende più leggeri.

Fumetto di funghi
è un liquido ristretto ottenuto con pelli di funghi, acqua, vino bianco e sale. Serve per aromatizzare salse, umidi, liquidi di cottura ecc.

Fiocchi d’avena
granelli di avena trattati in modo particolare al fine di renderli soffici e leggeri, quindi più digeribili. In genere si consumano con il latte.

D

Diluire
stemperare con un qualunque liquido salse, fondi di cottura, condimenti o estratti di carne per renderli più fluidi.

Dorare
spennellare con l’albume o il tuorlo dell’uovo la superficie di una torta o di pasta (sfoglia, brisée, ecc.) per farla diventare lucida e dorata con la cottura in forno. Indica anche la rosolatura, a calore moderato, di carni o altro per far prendere loro un colore dorato.

Deglassare
aggiungere un liquido, che può essere vino, brodo, latte ecc., al sugo di cottura di una carne che si è addensato sul fondo della casseruola.

Disossare
privare delle ossa volatili, selvaggina o un qualsiasi pezzo di carne per ottenere involucri più idonei a essere farciti.

Dragoncello
erba aromatica; è stimolante della secrezione gastrica e si usa per aromatizzare molte salse e alcuni ingredienti base come il burro e l’aceto.

Duxelles
composto preparato con funghi crudi tritati e strizzati, che serve per molte ricette. Si può conservare in freezer.

C

Canapè
fettina di pan carrè tagliata nella forma preferita (rotonda, rettangolare, quadrata ecc.) e guarnita con diversi ingredienti (prosciutto o altri salumi, sottaceti, burri composti ecc.). I canapè si servono come antipasto e fanno parte dei menu di buffets, cocktails e rinfreschi.

Colla di pesce
sostanza che si ottiene dalla vescica natatoria di alcuni pesci (particolarmente delle storione); viene usata in pasticceria, dopo essere stata ammollata in acqua, per addensare creme, budini, bavaresi ecc. e per preparare gelatine alimentari. In commercio si trova sotto forma di fogli rettangolari trasparenti del peso di circa due grammi.

Crocchetta
polpettina fritta a base di carne o di riso o di patate, legata generalmente con una salsa besciamella.

Crostino o crostone
quadrati o rettangoli di pan carrè di diverse dimensioni; si servono tostati o fritti in olio e burro in accompagnamento a zuppe di pesce, creme e brodi di verdura, oppure come antipasto, dopo averli spalmati di burri composti e salse varie.

Crudità
termine usato per indicare l’insieme di verdure crude (sedani, finocchi, rapanelli, peperoni ecc.) che si servono come antipasti e si condiscono generalmente intingendoli in una salsa “vinaigrette” che si porta in tavola in una salsiera a parte.
L’idea di servire come antipasto delle verdure crude è sorta dalla duplice esigenza di calmare i morsi della fame, nell’attesa del primo piatto, senza però appesantire lo stomaco.

Concentrato
conserva di pomodoro molto condensata; esistono in commercio, secondo il grado di concentrazione, il concentrato, il doppio e il triplo concentrato.

Consumare
sottoporre a prolungata bollitura un liquido o un sugo per renderli più concentrati.

Cotenna
(o cotica): pelle di maiale; si usa in salumeria per preparare degli insaccati e in cucina come condimento.

Cerfoglio
erba aromatica; è diuretico e ipotensivo; è molto simile al prezzemolo e ha più o meno le stesse utilizzazioni (insalate, frittate, minestre, ripieni ecc.) oltre a comparire come caratteristico ingrediente di alcune importanti salse come la “bernese” e la “tartara”.

Champignons
funghi piccoli e bianchi coltivati, economici che si trovano tutto l’anno. Hanno poco sapore ma migliorano con l’aggiunta in cottura di qualche lamella di fungo secco ammollato.

Chaud-froid
salsa ottenuta dall’unione della besciamella con la gelatina. Preparazione delicatissima indicata per vari tipi di carne e selvaggina.

Court-bouillon
brodo di verdura usato soprattutto per la cottura dei pesci. Si prepara facendo bollire dell’acqua con aceto o vino bianco, fette di limone, cipolla e odori vari.

Canditi
pezzettini di frutta di vario tipo, immersa e cotta in diversi sciroppi per rivestirla di zucchero. Il termine candire deriva dal vocabolo arabo "qandì" che significa succo di canna da zucchero condensato.

Capperi
boccioli dei fiori di una pianta ad arbusto con foglie ovali e fiori di colore rosa o bianco che vengono utilizzati in salamoia come condimento.


B

Bacon
pancetta di maiale affumicata di qualità scelta e piuttosto magra, usata di preferenza per friggere le uova per la prima colazione secondo l’usanza anglosassone.

Battuto
condimento composto di lardo, pancetta o grasso di prosciutto, aromatizzato con cipolla, aglio, sedano, prezzemolo e carota. Si prepara battendo gli ingredienti con un largo coltello da cucina oppure tritandoli con la mezzaluna.

Brasare
cuocere in un sughetto ristretto un pezzo di carne o delle verdure, a fuoco molto lento e a recipiente coperto.

Bardare
ricoprire con fette di lardo, prosciutto o pancetta un pezzo di carne, pollame o selvaggina.

Burro maneggiato
burro impastato con altrettanta farina; si usa per legare alcune salse o fondi di cottura.

Basilico
erba aromatica; è stimolante dello stomaco e dell’intestino; si usa per profumare insalate, pomodori, peperoni e melanzane ripieni o cotti in altro modo, salse di pomodoro e alcune salse verdi fra le quali il pesto.

Brisée
vocabolo che deriva dalla voce normalla "brier" cioè impastare con il matterello. E' un tipo di pasta dolce fatta con farina, uova, burro e lievito; può avere diverse forme e grandezze e viene cotta nel forno.

Bianchetti
acciughe e sardine neonate incolori e trasparenti che, una volta cotte, diventano bianche. Ottima la preparazione tipica della Liguria che utilizza i bianchetti per una deliziosa frittata.


A

Allungare
aggiungere del liquido a una preparazione in cottura.

Amalgamare
mescolare più ingredienti in modo da ottenere un composto omogeneo.

Ammollare
mettete a bagno una vivanda, per esempio prugne o funghi secchi, fagioli, orzo perlato, lenticchie, in acqua o in altro liquido per farla ammorbidire.

Appassire
far cuocere le verdure a calore bassissimo, in olio o burro, in modo che si inteneriscano senza colorirsi troppo.

Avocado
frutto esotico simile alla pera, di colore verdastro o violaceo e dalla polpa poco zuccherina; si usa soprattutto nella preparazione di insalate e di antipasti.

Addensare
rendere più densa una salsa, una crema o un fondo di cottura incorporandovi un po’ di farina o di fecola di patate.

Abbacchio
voce dialettale, in uso soprattutto a Roma e in Toscana, che sta a indicare l’agnello non ancora svezzato.

Arista
voce toscana che indica la parte del maiale situata ai lati della spina dorsale, sopra il filetto.

Alloro
(o lauro); erba aromatica; è stimolante e digestivo; si usa per arrosti, stufati, sughi, marinate, pesce bollito e qualche volta anche per risotti e minestre. Va usato con parsimonia altrimenti conferisce alla vivanda sapore amarognolo.

Aneto
erba aromatica; è digestivo e ha sapore simile a quello del finocchio; i germogli e i gambi teneri possono essere consumati in insalata, i fiori servono per aromatizzare minestre e carni.

Arachide
pianta erbacea della famiglia delle Papilionacee i cui frutti oblunghi e spugnosi crescono sottoterra. I semi sono largamente usati sia per ricavarne il conosciutissimo olio, sia tostati e salati. Si può ottenere anche un particolare tipo di burro, poco conosciuto in Italia.

Aiolì
salsa composta da maionese con l’aggiunta di aglio. Il suo sapore forte la rende adatta a valorizzare piatti dal gusto non troppo spiccato.

Astaco
gambero di fiume, molto pregiato, dal sapore delicatissimo, usato in preparazioni raffinate.

Come conservare i funghi

Buoni da consumare subito, ma anche squisiti da conservare… per quando non ci sono e non è più stagione, i funghi meritano un po’ del nostro tempo per imparare a conservarli, in modo da averli sempre a disposizione per tutto l’anno. I funghi si possono conservare in tanti modi, ma le conservazioni di base sono le seguenti: sott’olio, sotto aceto, in salamoia, al naturale, surgelati, seccati.
Se avete la fortuna di raccogliere tanti funghi nelle vostre scampagnate, o se decidete di dedicare un po’ di tempo ai funghi, ecco i modi tradizionali per conservarli e averli sempre buoni tutto l’anno.

Un consiglio per i funghi secchi: non fate i sofisticati, tenendo per la conservazione dei funghi secchi solo i preziosi porcini: ma mescolate a qualche porcino anche le varietà più modeste. Il risultato di questo “cocktail” di funghi secchi sarà ottimo… come se aveste conservato tutti porcini e basta, e la vostra fatica sarà premiata con tanti e tanti bei sacchettini da conservare a lungo.

Champignons sott’olio
private gli champignons della parte dura e terrosa e metteteli a mano a mano in acqua fredda acidulata con succo di limone per evitare che anneriscano. Nel frattempo portate ad ebollizione dell’acqua salata (deve appena coprire in funghi) con il succo del limone rimasto, 2 chiodi di garofano, i grani di pepe, un pezzetto di cannella e 1 foglia di alloro. Fate riprendere il bollore a fiamma viva poi riducete il calore e continuate la cottura per 20 minuti facendo attenzione che il liquido non evapori. In questo caso versate poca acqua bollente. Sistemate gli champignons cotti al dente e perfettamente sgocciolati, in vasi piccoli, ricopriteli con olio e chiudete ermeticamente i vasi.

Dosi occorrenti:
- 1 kg di champignons piccolissimi
- 2 limoni
- 1 pezzetto di cannella in stecca
- 2 chiodi di garofano
- qualche grano di pepe
- 1 foglia di alloro
- olio d’oliva
- sale

Funghi porcini sott’olio
scegliete i funghi sani, sodi, possibilmente piccoli, altrimenti se ve ne sono di grossi tagliateli a pezzi. Privateli della parte terrosa e passateli con una pezzuola inumidita. In una pentola di acciaio inossidabile oppure smaltata, mettete la quantità di aceto necessaria a coprire i funghi, salatelo e quando bolle buttatevi i funghi lasciandoli bollire per 3 minuti. Sgocciolateli, metteteli su un telo e quando saranno freddi sistemateli in vasi preferibilmente piccoli, unendo in ciascuno qualche chiodo di garofano, qualche grano di pepe e 1 foglia d’alloro. Versate l’olio fino a coprire i funghi poi chiudete i vasi. Se dopo alcuni giorni vi accorgerete che l’olio è diminuito, aggiungetene dell’altro. Tenete i vasi al buio e al fresco.

Dosi occorrenti:
- 2 kg di funghi porcini o altre qualità
- chiodi di garofano
- grani di pepe
- foglie d’alloro
- olio d’oliva
- sale

Funghi sotto aceto
private i funghi della parte terrosa e passateli con una pezzuola inumidita. Portate ad ebollizione dell’acqua salata, buttatevi i funghi e lasciateli bollire per 3 minuti. Sgocciolateli, metteteli su un telo e fateli asciugare e raffreddare. Trascorso questo tempo (2 o 3 ore), sistemateli nei vasi (possibilmente piccoli per poterli consumare più facilmente dopo che i vasi sono stati aperti) e unite un pezzetto di cannella, chiodi di garofano, grani di pepe, foglie d’alloro. Intanto fate bollire dell’aceto in un recipiente di acciaio inossidabile o smaltato, salatelo e quando si sarà intiepidito versatelo sui funghi in modo che ne siano ricoperti. Chiudete i vasi e conservateli al fresco. Se dopo un po’ di tempo notate che l’aceto è diventato torbido, sostituitelo con dell’altro fresco, sempre dopo averlo fatto bollire.

Dosi occorrenti:
- 2 kg di funghi porcini o altre qualità
- 1 pezzetto di cannella
- chiodi di garofano
- foglie d’alloro
- aceto bianco
- sale
- grani di pepe

Funghi al naturale
scegliete possibilmente funghi piccoli della medesima grandezza (se sono grossi tagliateli a pezzi, privateli della parte terrosa, passateli con una pezzuola inumidita e, se necessario, lavateli velocemente in acqua fredda corrente. Portate a bollore dell’acqua con sale e i chiodi di garofano poi buttatevi i funghi e fateli bollire a fuoco vivo per 3 minuti. Dopo averli sgocciolati e lasciati raffreddare, sistemateli in vasi preferibilmente da 1/2 litro. Nel frattempo fate bollire dell’altra acqua con sale (10 gr per ogni litro) e quando sarà fredda versatela sui funghi. In ogni vaso mettete una foglia di alloro, qualche grano di pepe, chiudeteli e sterilizzateli per 1 ora. Teneteli nel liquido finché saranno freddi poi conservateli in luogo fresco e al buio.

Dosi occorrenti:
- 2 kg di funghi porcini o altre qualità, sani e sodi
- qualche chiodo di garofano
- foglie di alloro
- grani di pepe
- sale

Funghi trifolati
private i funghi della parte terrosa, passateli con una pezzuola inumidita e tagliateli a fette. In un tegame fate rosolare l’olio con gli spicchi d’aglio schiacciati, unitevi i funghi, sale e pepe. Mescolando con un cucchiaio di legno, lasciateli cuocere a fuoco vivo finché sia evaporata completamente l’acqua di vegetazione. Prima di levare i funghi dal fuoco mescolatevi il prezzemolo tritato. Eliminate l’aglio e versate i funghi ancora caldi in vasi piuttosto piccoli, pigiateli e copriteli con poco olio crudo. Chiudete ermeticamente i vasi e sterilizzateli per 35 minuti. Lasciateli raffreddare nel liquido poi conservateli in luogo fresco e buio oppure nel freezer. Quando li userete scaldateli a bagnomaria.
N. B. Se utilizzerete i funghi gallinacci (finferli), puliteli, lavateli velocemente, sgocciolateli e fateli asciugare per ora su un telo poi tagliateli a listerelle oppure strappateli in pezzi piccoli.

Dosi occorrenti:
- 2 kg di funghi porcini o altre qualità
- 2 dl di olio
- 3 spicchi d’aglio
- prezzemolo tritato
- sale
- pepe

Funghi essiccati
private i funghi porcini o boleti o russole o altre qualità commestibili, anche mescolati, della parte terrosa e passateli con una pezzuola inumidita (non vanno mai bagnati). Tagliateli a fette sottili, allargateli in un solo strato su un asse ricoperto da un telo o fogli di carta non stampata, ricopriteli con una garza ed esponeteli all’aria e non al sole, rivoltandoli di tanto in tanto fino alla completa essicazione. Ricordatevi di ritirarli alla sera per evitare che l’aria umida della notte li faccia ammuffire. Se siete sfortunati per il tempo non demoralizzatevi: stendete i funghi su una gratella e fateli seccare all’entrata del forno caldo o in forno molto tiepido. Per conservarli racchiudeteli poi in sacchetti di carta o di tela oppure in vasi di vetro.

I tipi di latte in commercio

Il latte che si trova in commercio è esclusivamente di vacca. In caso contrario, secondo la nostre legislazione, il nome dell’animale da cui proviene dev’essere indicato.
Il latte viene consegnato dal produttore allo stabilimento di raccolta dove si provvede a controllarlo e a lavorarlo prima di porlo in commercio.

Poiché nel latte possono essere presenti dei microrganismi infettivi (della tubercolosi, tifo, epatite virale, difterite, colera ecc.) è indispensabile sterilizzarlo prima dell’uso.
Per sterilizzarlo industrialmente, il latte viene riscaldato a 130/150 gradi e tutti i microbi, anche quelli innocui, vengono uccisi. Il latte sterilizzato se tenuto in frigorifero può durare dei mesi, ma una volta aperto il contenitore, deve essere consumato rapidamente; esso è comunemente definito “latte a lunga conservazione”.

Prima di essere sottoposto ai processi di pastorizzazione o sterilizzazione, il latte viene omogeneizzato. I globuli di grasso sono finemente frantumati e uniformemente dispersi, rendendo il latte più saporito e digeribile. Che sulla superficie del latte in commercio non si formi uno strato di panna dipende dalla omogeneizzazione e non è un difetto come si ritiene comunemente.

Il latte parzialmente scremato contiene l’1,5/1,8 per cento di grassi, e quello magro ne contiene lo 0,90 per cento. Questi tipi di latte sono più fluidi, leggermente azzurrognoli e meno dolciastri e hanno un contenuto calorico inferiore (370/400 calorie per litro). Sono indicati per chi debba consumare forti quantità di latte in caso di ulcera, acidità gastrica ecc., per malati di fegato, per chi soffre di disturbi alla cistifellea, nonché nelle diete dimagranti e nell’età senile.

Per una convenzione fra produttori, il latte intero porta sugli involucri le scritte in azzurro, quello parzialmente scremato in rosso-arancio e quello magro in verde.

Esiste poi il latte in polvere che si presenta come una polvere bianco-giallastra, con odore di burro fresco; può essere intero, scremato e mezza crema, è di ottima conservabilità e completamente sterile, ma manca di vitamina C (che però è trascurabile anche nel latte fresco) e, quello scremato, anche di vitamina A.
Il suo valore energetico è molto alto: 190 gr corrispondono a 1 litro di latte fresco. Generalmente per 1 litro di acqua bastano 150 gr di latte in polvere. Così diluito esso deve essere bollito per due o tre minuti e consumano entro due o tre ore. Il latte in polvere è molto buono anche diluito nel succo di arancia. Quello istantaneo si scioglie in acqua calda a 70/80 gradi o, a seconda dei tipi, anche in acqua tiepida o addirittura fredda.
Il latte in polvere scremato viene impiegato anche in cucina per aumentare il contenuto proteico dei cibi.
Il latte condensato, invece, si ottiene riducendo a 1/3 o 1/4 il contenuto dell’acqua; può essere intero o scremato, con o senza l’aggiunta di zucchero. Si presenta come una massa sciropposa, di colore giallo-verdognolo, ma riprende il colore naturale quando viene sciolto nell’acqua. Va consumato subito.
Il latte evaporato è un latte condensato senza zucchero; può essere “intero” o “evaporato a titolo”, a seconda della percentuale di grasso.
Poco conosciuto in Italia è il latte in tavolette, pani o pasticche, che ha le stesse caratteristiche di quello in polvere e viene usato soprattutto nel tè e nel caffè.
Caffè o te, associati al latte, sono ottime bevande che possiedono queste caratteristiche: elevata azione tonica, spiccata proprietà nutritiva, stimolazione del lavoro dell’apparato digerente.

Il latte nell’alimentazione

Poiché, oltre ai costituenti inorganici e alle vitamine, contiene i tre elementi fondamentali (glucidi, lipidi e protidi) in equilibrio armonico, il latte può essere definito un alimento davvero fondamentale.

Un litro di latte equivale a circa 140 g di carne di vitello, più di 45 gr di burro e più di 50 gr di zucchero. Mezzo litro di latte al giorno soddisfa quindi circa il 50 per cento del nostro fabbisogno di proteine animali, il 50/60 per cento di calcio e buona parte dei grassi e delle vitamine.

Il fabbisogno calorico umano varia a seconda dell’età, del sesso, della statura, del tipo di lavoro, del clima ecc. A titolo puramente indicativo si può dire che il fabbisogno calorico giornaliero è il seguente:
- fino a 5 anni 90/100 calorie per ogni kg di peso
- fino a 10 anni 80/90 calorie per ogni kg di peso
- fino a 20 anni 45/70 calorie per ogni kg di peso
- fino a 30 anni e oltre 35/%0 calorie per ogni kg di peso

L’altro elemento indispensabile al nostro organismo è l’acqua: un adulto del peso di 70 kg ne dovrebbe bere dai 2 ai 3 litri al giorno. Anche sotto questo punto di vista il latte risponde in pieno alle nostre esigenze. Il suo contenuto di acqua è dell’87/88 per cento.
Nonostante il latte sia l’alimento più economico, il suo consumo in Italia è molto più basso che in altri paesi. Questo è un grave errore alimentare poiché il latte è consigliato da tutti i medici per tutte le età.

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